21 gennaio 2025

"La memoria mi riconsegna un immaginario ipertrofico" di Luciano Luciani

 


Sci - fi versus Omero e Virgilio

       Vuoi vedere che le recenti, sciagurate esternazione del 47esimo presidente degli Stati Uniti circa un’auspicabile - dal suo stranito punto di vista - occupazione, magari anche manu militari, di Panama, del Canada e della Groenlandia, mi restituiranno l’antico grido di guerra, yankee go home, dei miei anni più verdi?

     E pensare che fino alle soglie dell’adolescenza io per gli Usa avevo sempre provato un’ammirazione senza pari! Ai miei occhi di figlio dell’immediato dopoguerra, infatti, nessuno come loro sapeva proporre nuovi, allettanti, desiderabili stili di vita: più disinvolti e liberi nei costumi, al punto  da preoccupare le gerarchie ecclesiastiche e i comunisti togliattiani; un cinema, sempre meno in bianco e nero e sempre più in un accattivante technicolor: western, cappa e spada, Tarzan; eroici marines contro diabolici giapponesi prima, maligni cino-coreani subito dopo; poi tanta cultura popolare e di massa: i fumetti, il romanzo poliziesco e, finalmente, la fantascienza. Anzi, la fanta-scienza, col trattino via via perso per strada.

       La memoria mi riconsegna il ricordo della fine di una fanciullezza connotata da un immaginario, il mio, vorace, ipertrofico e da nutrire costantemente. Lo alimentavo a dosi via via sempre più massicce di fumetti (“L’Intrepido” e  “Il Monello” come se piovesse), di Salgari e Verne, che mi sapevano, però, più il primo del secondo, di liso, di polveroso, di vecchio. E poi, tanto, tanto cinema. Soprattutto di fantascienza e non solo B movie: perché il grande schermo, (insieme, per essere sinceri, a tanta monnezza), regalava storie inedite, protagonisti straordinari, intrecci diversi, contaminazioni originali e vibranti emozioni… 

       Che ora avevano fattezze di giganteschi formiconi determinati a distruggere Los Angeles ( Assalto alla Terra, 1954), ora la faccia ambigua e fanatica di Walter Pidgeon, il professor Morbius del Pianeta Proibito, 1956; oppure si annidavano nella “cosa” amorfa, mezza vegetale ma cattivissima che si aggirava per le vie di Londra, seminando angoscia e panico (L’astronave atomica del dottor Quatermass, 1955)…

      Dalle sale buie e maleolenti dei cinema parrocchiali romani alla pagina scritta non ricordo soluzioni di continuità. Solo la percezione, calda e avvolgente nella carità feroce del ricordo di cinquant’anni dopo, di un ampliarsi del piacere: dell’intelligenza degli occhi, del cuore…

     Un godimento tutto e solo mio a ripensarlo oggi, poco condiviso dai coetanei di allora, presi da altre e altrettanto legittime passioni: sportive, oppure meccanico/motociclistiche, o i primi pruriti quasi incontenibili giù, nella zona del basso ventre e dintorni. Una condizione di solitudine che, però, non mi avviliva, anzi mi faceva sentire originale, raro, unico.

         Erano gli anni “poveri, ma belli”. Poveri di sicuro, belli lo sarebbero stati assai di più se nel mio cammino verso le stelle non avessi intercettato, in perfetta rotta di collisione, niente meno che la Balena bianca delle Istituzioni italiane: la scuola.

      E fu guerra, amici… Arthur C. Clarke, Richard Matheson, Jack Williamson, Robert A. Heinlein versus Omero e Virgilio! Gli smilzi fascicoletti di “Urania” furono celati sul ripiano di sotto del banco scolastico e malamente sbirciati durante ore e ore di noiosissime lezioni di grammatica latina e greca. Scontai, per questo comportamento all’opposizione, persecuzioni fatte di brutti voti ed esili – “Luciani, dal preside perché continuamente durante la lezione ti occupi d’altro”. Anch’io, allora, parafrasando Albert Camus, come tanti altri martiri mi trovai di fronte alla scelta fra essere dimenticato, schernito, ridotti a strumento… Quanto a essere capito: questo mai”.

 

Luciano Luciani

 

 

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