03 aprile 2009

"Colti nel segno" di Tullio Pericoli


di Gianni Quilici

“Colti nel segno” è uno dei diversi libri di ritratti disegnati da Tullio Pericoli da qualche anno.
In questo libro sono 64 i ritratti a matita colti da Pericoli di grandi artisti del '900 (e non solo): Adorno, Borges, Calvino, Cechov, Celine, Conrad, Fellini, Freud, Goethe, Gombrowicz, Kipling, Karl Marx, Moravia, Pessoa, Stravinskij ecc, ecc.

Mi danno ad un primo fugace sguardo un senso di appartenenza. Non sono io loro, ma li sento affini, fraterni, forse perché individuali, unici.

La ragione la scrive forse Umberto Eco nell'ultima pagina di copertina quando nota che “il soggetto viene visto dall'interno”. Ma, mi chiedo, in che modo l'autore perviene a questo “interno”?

Tullio Pericoli risponde, in parte, a questa domanda, in una introduzione molto interessante, descrivendo non il processo creativo, per molti versi misterioso e difficile da verbalizzare, ma le fasi in cui lavora al ritratto.
Pericoli prende le foto del personaggio prescelto, le esamina ad una ad una, poi tutte insieme, fa un primo schizzo, coglie un segno, un dettaglio, su quel dettaglio si concentra per svilupparlo su un nuovo foglio; poi mette questa seconda versione su un altro foglio e si concentra per un ulteriore dettaglio finchè arriva per gradi al risultato che lo soddisfa.

Nel libro ci sono due esempi, Joyce e Kafka, che rappresentano bene questo tipo di processo graduale che porta, potrebbe scrivere Roland Barthes, al punctum, al momento, cioè, in cui l'idea immaginifica del soggetto in questione diventa forma.

Di Franz Kafka vengono disegnati sei ritratti. Tutti significativi. Tutti colgono, per me lettore, due elementi che poi sono uno soltanto: il volto di Kafka e il suo mondo così come appare dalla sua opera.

Nel primo disegno Pericoli disegna Kafka, con il cappello, in piano quasi americano, gli occhi indefiniti come se fosse uno dei tanti anonimi piccoli borghesi “segnati” da una ferita; negli altri (disegni), e soprattutto in questo che noi vediamo, il penultimo, il cappello sparisce, il capo, gli occhi e il naso si ingrandiscono, gli occhi si fanno più drammatici, la bocca e il mento si assottigliano, rimane tuttavia la cravatta con la camicia a collo alto.
Ma è nell'ultimo disegno che Pericoli arriva al Ritratto, perché porta all'estremo la sua intuizione.
Infatti elimina camicia e cravatta, avvicina ingrandendoli capo-occhi-naso, rende gli occhi più imperturbabili. Quindi per un verso accentua questa inquadratura di schiacciamento dall'alto in basso, che è pure anche di inabissamento psichico, di drammatizzazione; per un altro verso, attraverso occhi imperscrutabili, accentua quel processo di spersonalizzazione, pure presente nell'opera kafkiana, lo rende quasi astratto, metafisico, lo universalizza.

In effetti la grandezza di Tullio Pericoli, andando oltre questo libriccino e considerando la sua intera opera ritrattistica è nell'inesauribile ricerca del “quid profondo di un creatore” e nell'impossibilità di trovarlo, o meglio trovandolo ogni volta, ossia articolandolo all'infinito. Penso ai ritratti numerosi, oltre a Kafka e Joyce, di Beckett, di Pasolini, di Stevenson, di Moravia.

Tullio Pericoli. Colti nel segno. Il Novecento in 64 ritratti. Mondadori, 1994. Collana: Passepartout. Pag. 144.