18 aprile 2009
Pierre Loti, tra amori esotici e il mito delle terre lontane" di Luciano Luciani
Quando mise piede a Tahiti nel 1872, Louis Julien Viaud aveva solo 22 anni ed una vasta pratica di viaggi, come d’altronde si conveniva ad un ufficiale della Marina francese. Aveva già toccato il Giappone, il Tonchino, l’Arabia, l’Oceania, ma furono le isole del Pacifico a segnarlo per sempre. I giovani cadetti francesi, infatti, appena sbarcati dalla nave-scuola furono fatti oggetto della curiosità e delle attenzioni delle fanciulle tahitiane: un’esperienza piacevole per tutti, ma indimenticabile per l’ingenuo e goffo provinciale arruolatosi in Marina più per amore dell’avventura e per seguire sogni e fantasie adolescenziali che per patriottismo.
Julien non era quel che si suole dire un Adone, ma compensava soprattutto la scarsa statura con un temperamento appassionato che lo faceva distinguere dagli altri suoi colleghi. Si gettò, quindi, anima e corpo alla conquista delle bellezze locali – in verità tutt’altro che inavvicinabili – che, grate per le sue cortesi premure, contraccambiarono attribuendogli il dolce ed allusivo appellativo di Loti, il nome di un delicato fiore diffuso nelle isole polinesiane.
A partire da qualche anno più tardi, Julien firmerà con quel soprannome una vasta e composita produzione letteraria di oltre 40 volumi costituita da romanzi, un Diario intimo pubblicato postumo e gli appunti delle sue esperienze di viaggio. A leggerli oggi rappresentano un suggestivo ed interessante Baedeker, capace de grande fascinazione. In essi l’autore sembra intingere la penna nei brividi della commozione ogni volta che si imbatte nella bellezza. E, come un eccellente pittore, Viaud-Loti sa ben inquadrarla, descriverla, dargli luce e trarne intense vibrazioni spirituali.
Le esperienze tahitiane rappresenteranno per Julien solo un gradevole e fugace apprendistato amoroso: ben altre imprese lo attendevano. La sua seconda spedizione sentimentale – così la definirà lo stesso Loti – avrà come scenario l’Africa nera, il Senegal, in quegli anni di spartizione coloniale del mondo definitivamente acquisita alla supremazia francese. Qui, dopo la facilità delle avventure amorose condotte nelle isole del Pacifico, lo aspetta l’Amore-Passione, contrastato e romanticamente infelice.
Lei è la consorte, dai costumi piuttosto liberi per quei tempi, di un europeo a dir poco disattento nei confronti della moglie. La signora per quanto è trascurata appare altrettanto assetata d’amore: lo trova, com’è facile immaginare, nel giovane luogotenente di vascello della Marina francese con il quale intreccia una appassionata relazione. Una storia che sembrava destinata al lieto fine se il marito, irritato dalle chiacchiere che dilagavano intorno all’infedeltà della moglie, non avesse pensato bene di imbarcarla sulla prima nave in partenza per l’Europa, liberandosi della sua imbarazzante presenza, lasciando il disgraziatissimo Julien a soffrire, meditare e lamentarsi della perdita della donna amata. Ma non finisce lì…
Anche Julien torna in Francia con “il cuore pieno d’amore, di rimorsi, d’agitazione, di contraddizioni”, rintraccia la signora in Svizzera e la scongiura di divorziare e di sposarlo. Si getta ai suoi piedi, ma tutto è inutile: riceve solo un netto rifiuto dalla donna che, dopo l’ubriacatura dei sentimenti, sembra tornata ad una più prosaica considerazione della vita coniugale e delle relazioni tra marito e moglie.
Julien esce prostrato, anche fisicamente, da questa prima, vera esperienza amorosa: è preda della febbre, delira e solo per mezzo dell’alcol riesce a dimenticare e a darsi pace.
La vita va avanti. Loti si imbarca sul Corona e sbarca a Costantinopoli: qui incontra e s’innamora fulmineamente di Hadidja, una schiava carcassa di soli diciannove anni. Nonostante la fanciulla sia strettamente sorvegliata, Loti riesce a corromperne i custodi e a vivere con lei la più emozionante delle avventure amorose. Costretto a reimbarcarsi, Loti promette alla sua donna di tornare, immancabilmente.
Ma un tale impegno viene vanificato dalle ragioni della politica e della storia. La guerra che scoppia tra la Russia zarista e l’Impero ottomano e il conseguente assedio di Costantinopoli impediscono ai due amanti di ricongiungersi. Hadidja non riesce a fuggire dalla città accerchiata e bombardata e tutti gli sforzi di Julien per fare emigrare la ragazza in Francia vengono frustrati. Solo più tardi il nostro eroe verrà a sapere che Hadidja, consunta dal mal d’amore, riposa per sempre nel cimitero di Top Kapou. A lei Loti dedicherà nel 1879 il primo dei suoi romanzi, Aziyadé, una storia di amore e morte sullo sfondo esotico degli incerti confini tra oriente ed occidente, tra Europa ed Asia, tra Salonicco e Istanbul: lui è un ufficiale inglese, lei una fanciulla circassa destinata all’harem: si incontrano, si conoscono, si amano. Costretti a lasciarsi ne muoiono entrambi. Libro all’apparenza semplice nasconde significati più profondi: per esempio, il protagonista, per amore di Aziyadé, si traveste, impara la lingua, si fa turco, diviene “altro da sé” e muore per difendere la sua nuova patria: una trasformazione che avviene in forza del sentimento amoroso o esprime piuttosto l’oscura esigenza di un rifiuto di quell’Europa che si stava spartendo sanguinosamente il mondo per optare invece per l’oriente, per un’Asia metamorfizzata in Aziyadé, nome della sfortunata eroina del romanzo? Romanzo erotico intriso di esotismo o opera che esprime il malessere di una civiltà che si arrogava con la forza il diritto di essere dominatrice?
Il primo libro di Pierre Loti passa parzialmente inosservato, ma non al punto da scoraggiarlo dall’intraprendere la carriera di scrittore. Il suo primo, vero successo letterario è dell’anno successivo, 1880, quando esce Il matrimonio di Loti, narrazione delle avventure giovanili sullo sfondo delle isole del Pacifico e della magica Tahiti. Il romanzo ottiene un grande successo di pubblico, mentre, da subito, la critica si mostra diffidente nei confronti di uno scrittore tanto popolare quanto antiletterario nelle scelte tematiche e stilistiche. I lettori, invece, gli dimostreranno sempre grande simpatia e per anni i libri di Loti andranno a ruba: un fenomeno letterario che attrasse l’attenzione e la simpatia di Alphonse Daudet, il celebre autore di Tartarin de Tarascon, che qualche anno più tardi, nel 1891, si adopererà per far eleggere Loti all’Accademia di Francia come membro effettivo.
Poi, tra un romanzo e l’altro – Pescatori d’Islanda del 1886 considerato il suo capolavoro e ispiratogli dall’amore per una ragazza bretone che lo aveva respinto; La signora dei crisantemi, 1887, ambientato in Giappone; Romuntcho, 1897, collocato sullo scenario dei paesi baschi – Loti viaggia e naturalmente continua ad innamorarsi: così in Montenegro rimane affascinato dalla rustica bellezza di una guardiana di pecore; rientrato nel suo paese natale di Rochefort s’invaghisce di una donna di straordinaria avvenenza ma dal pessimo carattere che lo respinge perché troppo povero…Loti va ripetendo a se stesso “io non ho mai vissuto che per l’amore, nella vita non vedo nient’altro che l’amore”. Finalmente a trentasei anni sposa Blanche Le Ferriere, che gli sarà compagna devotissima per il resto della sua vita ma che non doveva soddisfarlo granché se, appena pochi mesi dopo le nozze, Loti confessava ad un amico “non mi sono mai annoiato tanto, mi annoio da morire!”.
Confidava nella paternità, ma il suo primo figlio morì pochi giorni dopo la nascita. Loti ne soffrì orribilmente: si chiuse in una stanza col corpicino e lo vegliò per un’intera giornata. Due anni più tardi gli nacque un altro figlio che chiamò Samuel, lo stesso nome di uno dei personaggi più riusciti di Aziyadé, il suo primo romanzo: Loti idolatrerà l’erede per il resto della sua esistenza.
Forte del seguito dei suoi lettori, Loti non esiterà ad assumere posizioni pubbliche anche difficili e controcorrente incorrendo nelle ire dei benpensanti: nel 1883 fu allontanato dalla Marina militare per aver criticato le crudeltà delle truppe francesi in occasione della conquista della città vietnamita di Hué, operazione con cui si apriva la strada alla costituzione dell’Indocina francese (1887). La potenza e la vivacità delle descrizioni di Loti, il suo stile limpido ed affascinante, diretto e capace di creare paesaggi inpressionistici di facile lettura continueranno ad incontrare il favore del pubblico almeno fino alla Grande Guerra. Anche se con il trascorrere degli anni la sua ispirazione sembra appannarsi e farsi piuttosto ripatitiva ( Le Roman d’un enfant; Le Roman d’un saphi; Le Desanchantées; La Troisième juenesse de Madame Prune; Matelot…) il romanziere si dimostra comunque capace di intercettare i gusti della borghesia francese in crisi di valori tra il venir meno delle certezze positivistiche e l’irrompere di una nuova sensibilità, quella dell’irrazionalismo.
Letto ed apprezzato da Nietzsche, le sue descrizioni di un mondo incontaminato ed autenticamente primitivo influenzarono il Gauguin dei primi anni tahitiani. Oggi, però, a cento anni di distanza, quel melange tra autobiografia, avventure, passioni ed esotismo che fece la fortuna di Loti come scrittore popolare ci appare piuttosto datato e solo a tratti capace di coinvolgere e commuovere i lettori cinici e disincantati dei nostri tempi. Meglio, allora, rileggere i suoi “appunti di viaggio”, Gerusalemme, Nel deserto, Gli ultimi giorni di Pechino, L’India senza inglesi, La Turchia agonizzante, Lettere a Madame Juliette Adam…: in essi il narratore francese si rivela anche – e forse soprattutto – giornalista di razza, un inviato speciale e sensibile dalla penna, incisiva, felicemente in grado di rendere in poche righe il senso di una civiltà, il significato di una cultura.
La morte, onnipresente nei suoi testi a leggerli con attenzione e fedele compagna delle sue solitudini, lo coglie nel 1923 nella sua casa di Hendaye, dove Loti vive circondato da anticaglie marocchine e giapponesi: “un ometto” – scrive Roland Barthes – “che, verso la fine della vita, si faceva fotografare… vestito all’orientale e circondato da un bazar sovraccarico di oggetti folkloristici.”