09 giugno 2010

"Amo la bici" di Gianni Quilici

Amo la bici. Un amore fermentato col tempo, diventato sempre più carico di impegno e sottile.

Ebbene sulla bici sono stati scritti libri da filosofi, sociologi, scrittori, poeti, giornalisti. Ci sono film e immagini. Alcune indimenticabili.

Ha senso che (io) ci scriva? Non lo so, soprattutto non m'importa.

Ed allora: perché amo la bici? Per una ragione innanzitutto immaginativa, che diventa poi onirica.

Pedalando succede a volte di sdoppiarmi. Io vedo me, mentre pigio sui pedali, poniamo su uno di quei bei tornanti difficili, ma possibili con l'ombra stampata per terra. Questo al presente mi piace e al passato prossimo mi esalta.

La ragione a pensarci è narcisistica: il narcisismo della propria rappresentazione.

Perché funziona? Perché, in certi attimi, nel nostro minuscolo immaginario possiamo avere, attraverso le vicende ciclistiche, una dimensione eroica: contro la dura salita, contro il caldo asfissiante, contro la pioggia battente, contro la discesa a rischio.

L'eroismo è dato da un contrasto in cui emergiamo, con fatica o a rischio, vittoriosi.

Nel mio caso -devo aggiungere- sono nelle condizioni migliori. Sono, infatti, solo: nessuno mi può battere; ho, però, un avversario: il tempo, o meglio il me stesso di ieri o di un passato remoto. Ci può essere quindi la vittoria (il record) come la delusione.

Questa rappresentazione narcisistica è mobile, percorre una strada, attraversa un paesaggio. Innanzitutto lo esplora. E poi, ri-percorrendo quella strada, ri-attraversando quello spazio, si finisce per conoscerlo meglio. Lo si esplora con il corpo, con la fatica e la gioia dei muscoli. Per questo vincendolo, cioè superandolo e padroneggiandolo, lo si conquista, lo si fa, in qualche misura, nostro, lo si sente amico, parte di noi. [Che differenza, infatti, salire in macchina o in moto e salire, invece, in bici!]

E' evidente che questo paesaggio non può essere l'ibrida macelleria urbanistica che ha ridotto le strade ad una paurosa scenografia di macchine e di semafori, di distributori e cavalcavia, di negozi e centri commerciali, di villette.

Bisogna andare (scegliere) là dove il paesaggio è ancora più forte della strada, dove le auto sono poche e timorate e la forza di prati, alberi, ruscelli è ancora sovrabbondante.

E' qui che un corpo allenato e desideroso ha la possibilità di congiungere bici-strada-corpo-immaginazione-percorso-paesaggio, di fare diventare una corsa in bici “piacevole” e qualche volta “esaltante”