24 ottobre 2010

"Tito Strocchi e il Risorgimento a Lucca" di Luciano Luciani

Nei primi giorni del giugno 1870, sui monti tra Lucca e Pistoia, si consumò la breve vicenda della ‘Banda repubblicana lucchese’, che, contestualmente a iniziative simili a Livorno, in Maremma e nei pressi di Pisa, tentò, per usare le parole della sentenza di rinvio a giudizio, di marciare su Firenze, allora capitale dello Stato italiano per “rovesciare il governo e mutarne la forma” e di porre in atto un moto insurrezionale il cui scopo era “distruggere e cambiare il governo legittimo dello Stato per sostituirvi la repubblica”.

Il contesto nazionale ed europeo

Giugno 1870: un momento assai delicato per la politica europea e per il giovanissimo Stato italiano. Infatti, mentre sull’orizzonte continentale si profila il crollo del secondo impero francese e l’ascesa di quello tedesco, nel nostro Paese si assiste a una forte ripresa dell’iniziativa mazziniana, promossa dall’ultima creatura dell’infaticabile cospiratore genovese: l’’Alleanza repubblicana universale’, Aru, che agiva in base a un programma fieramente antigovernativo, intransigentemente repubblicano e marcatamente irredentista nel sostenere il diritto italiano a Trento e Trieste.

Ma le polemiche di Mazzini nei confronti di Garibaldi, che lamentava di non essere stato sufficientemente appoggiato da Mazzini e dai mazziniani nell’occasione dell’impresa di Mentana, e nei riguardi delle idee anarchico socialiste-internazionaliste di Bakunin, indebolirono l’Aru e non permisero al Genovese e alla sua ultima creatura di intercettare le agitazioni sociali contro la tassa sul macinato ricorrenti in tutta Italia e particolarmente intense in Emilia nelle province di Parma, Bologna, Reggio Emilia e Modena… Al punto che il governo del generale Manabrea era stato costretto a inviare un altro generale, Raffaele Cadorna, a cui vennero assegnati poteri straordinari, per reprimere le agitazioni nelle campagne.

Al termine delle operazioni militari si erano contati 250 morti e centinaia di feriti.

Nonostante ciò, Mazzini va avanti col suo programma: il 24 marzo a Pavia, un gruppo di circa 40 mazziniani, guidati dal caporale Pietro Barsanti di Gioviano, assalta la caserma San Francesco al grido di “Viva la repubblica”. Negli scontri rimangono uccisi un ufficiale e due dimostranti. Il Barsanti, tratto in arresto, è condotto a Milano e fucilato il 27 agosto.

Tra il 6 e il 10 giugno, in concomitanza con i fatti toscani a Maida, in Calabria, si conta un altro tentativo insurrezionale repubblicano guidato da Ricciotti Garibaldi: dopo uno scontro armato a Filadelfia, una banda di circa 300 elementi viene dispersa dalle truppe regie, mentre ancora altre agitazioni simili si svolgono nella tarda primavera del 1870 a Reggio Emilia e a Como. Ecco, l’iniziativa della banda lucchese si situa in questo contesto tutt’altro che tranquillo per le classi dominanti italiane e il ceto politico-amministrativo da esse espresso: le vecchie parole d’ordine mazziniane sembrano sul punto di fondersi e amalgamarsi con le nuove, legate a una acutissima questione sociale e all’irruzione sempre più consapevole delle masse sulla scena della storia. Siamo di fronte a una miscela esplosiva - repubblica e questione sociale - difficilmente governabile e potenzialmente devastante, per gli uomini della Destra storica…

E tutto questo mentre sull’orizzonte europeo si addensavano le nubi di una guerra sanguinosa che aveva come obbiettivo la questione della supremazia continentale.

La ‘Banda repubblicana lucchese’

La ‘Banda repubblicana lucchese’, risultava costituita da un’ottantina circa di uomini, armati di coltelli, pistole e una sessantina di fucili sottratti dal liceo “Machiavelli”, di quelli usati per le esercitazioni premilitari, quindi vecchi schioppi poco efficienti, si organizza nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1870. Uscita da Porta di Borgo, continua per Bagni di Lucca, toccando Boveglio e Benabbio. La marcia prosegue sotto una pioggia battente che rende in gran parte inservibili le armi in direzione Pontito e verso la macchia degli Antonini dove trascorre la notte.

La mattina del 7 giugno il gruppo, circondata dalle truppe regie – uno squadrone proveniente da Lucca di lancieri Milano, un folto drappello di lancieri Aosta arrivati da Pistoia, un battaglione dell’ottavo reggimento di linea, bersaglieri giunti da Firenze, un battaglione del 58° fanteria – si arrende dopo uno scontro a fuoco: i repubblicani depongono le armi, parte ne sotterrano e lacerano la bandiera rossa.

Come leggiamo nella sentenza di rinvio a giudizio, i cospiratori ”come per via avevano sempre gridato – morte al Re – ed acclamato alla Repubblica, a Mazzini ed all’abolizione del macinato e delle altre tasse, così non dimisero questo contegno, neppure dopo il loro arresto”.

Certo, si tratta di un episodio minore nella storia delle insorgenze risorgimentali e post-risorgimentali, ma significativo del teso clima politico del momento; spia delle preoccupazioni governative circa la rinnovata capacità di iniziativa mazziniana alimentata dall’’Associazione repubblicana universale’ e sostenuta dalle Società di mutuo soccorso e dalle organizzazioni di categoria, tutte più o meno orientate in senso repubblicano e sempre più attente e sensibili alle parole d’ordine che venivano da Londra, dall’Associazione internazionale dei lavoratori, la Prima internazionale.

Interessante, poi, la composizione anagrafica e sociale di questa ‘Banda repubblicana lucchese’: tra i rinviati a giudizio - 85 persone, nella quasi totalità giovani tra i 20 e i 30 anni, giovanissimi alcuni, rari gli individui maturi - troviamo solo cittadini a testimonianza della diffusione del verbo repubblicano negli ambienti urbani e dell’impermeabilità delle campagne alla propaganda mazziniana.

Un terzo sono artigiani; folta poi la presenza degli impiegati, degli studenti, dei lavoratori del terziario e dei servizi, un paio di possidenti, un paio di braccianti, uno scultore, un pittore, un libraio… Socialmente, comunque, già un altro mondo rispetto ai ‘signori’ illuminati - pochi -, ai sacerdoti liberali – rari- e ai moderatissimi notabili lucchesi che nella città avevano guidato il passaggio dal decennio lorenese all’unità con l’Italia: qui si tratta di piccola o piccolissima borghesia, talora addirittura minima, spesso contigua, per condizioni materiali di vita al proletariato cittadino.

Quindi altri protagonisti sociali e politici, anche in Italia, anche a Lucca, si fanno avanti sulla scena della storia, interpreti dei tempi nuovi e dei nuovi problemi all’ordine del giorno: l’Italia e Roma, certo; ma anche la repubblica, la democrazia, la giustizia sociale…

Siamo alla vigilia della agonia del partito storico repubblicano, mentre dà i primi vagiti il partito dell’Internazionale. Non ancora ben definiti i confini ideologici, ibridi e talora confusi i programmi politici. In campo democratico si consumano rivalità, divisioni e riavvicinamenti; polemiche e alleanze tattiche; Garibaldi e Mazzini, ma ora anche Bakunin e Marx, i punti di riferimento e gli idola polemici, mentre agli ideali patriottici si vanno progressivamente sostituendo quelli libertari della giustizia sociale, della lotta di classe, del conflitto capitale-lavoro.


Giovinezza e prime esperienze del mazziniano Tito Strocchi

Ecco, la meteora luminosa e breve dell’esistenza di Tito Strocchi passò attraverso questo magma incandescente e ne fu definitivamente segnata.

Strocchi Tito, di Stefano e della fu Giovanna Consolini, di anni 24, nato e domiciliato in Lucca, scapolo, dottore in legge, arrestato il 7 giugno1870”, come si legge nel freddo linguaggio burocratico dei magistrati che firmano il suo rinvio a giudizio, l’atto d’accusa per la breve avventura della ‘Banda lucchese’ ereditò probabilmente le convinzioni repubblicane dai genitori, originari di quelle terre storicamente all’opposizione che sono le Romagne e le perfezionò nell’ambiente mosso, fervido e politicizzato dell’Ateneo pisano, dove nell’anno 1862-63 aveva conseguito la laurea in legge.

Volontario nella terza guerra d’indipendenza, l’anno successivo prese parte alla impresa garibaldina di Mentana, battendosi valorosamente a Bagnorea, Monterotondo e Mentana. Fatto prigioniero in quella sfortunata vicenda, conobbe le carceri papaline di Castel Sant’Angelo e di Civitavecchia. Riacquistata la libertà svolge a Lucca un’intensa attività di agitatore repubblicano fondando l’’Associazione di Mutuo soccorso fra i volontari italiani’; promuovendo la realizzazione di una testata giornalistica “Il Serchio”, che, trasformatosi nel “Popolo Toscano”, sopravvisse alla sua scomparsa e crebbe fino a diventare una importante voce della democrazia regionale; poi, anticipando la sua sensibilità internazionalista che lo doveva portare nel 1871 a combattere con Garibaldi a fianco del popolo francese, è a Lucca organizzatore del “Comitato Italo-Ellenico” di solidarietà con i greci di Candia, insorti per liberarsi dall’oppressione ottomana.

Un impegno costante, un’attività instancabile: è Tito Strocchi, mazziniano convinto, a tenere viva la trama delle relazioni tra Lucca, la Toscana e i principali centri dell’agitazione e della propaganda repubblicane. Tito non è un dottrinario, e pur se caro a Mazzini, è sempre pronto ad accorrere a ogni richiamo dell’Eroe dei due mondi: un comportamento, il suo, che contribuì a fare in modo che tra le due grandi figure del Risorgimento nazionale, in polemica ormai tra loro da oltre un quindicennio, non si spezzasse mai il filo di una qualche forma di riconoscimento e collaborazione.

Forse, fu proprio per questo importante ruolo giocato all’interno della democrazia italiana negli anni immediatamente post-unitari che Tito, dopo aver conosciuto le galere pontificie, conobbe anche quelle italiane: arrestato a Genova nel 1869 perché coinvolto in una cospirazione repubblicana organizzata da Stefano Canzio, fu prosciolto da ogni accusa e tornò velocemente a Lucca per preparare gli eventi del giugno 1870. Fatti che gli valsero l’accusa di cospirazione armata contro lo Stato: ancora carcere, da cui Tito uscì beneficiando dell’amnistia concessa all’indomani del plebiscito che, dopo Porta Pia, aveva sancito l’annessione del Lazio al regno d’Italia.

Appena il tempo di ripassare da casa e ritroviamo il nostro giovane dottore in legge in Francia, con Garibaldi, col ‘Corpo garibaldino dei Vosgi’ impegnato nel generoso tentativo di difendere la democrazia e la repubblica francese dallo strapotere prussiano.

Fu proprio nei pressi di Digione, nei giorni 22 e 23 gennaio 1871, che i garibaldini e i Franchi Tiratori francesi ebbero la meglio sul 61° reggimento prussiano e a Strocchi toccò con ogni probabilità l’onore di strappare a quella formazione militare l’unica bandiera perduta dai Prussiani in quella campagna.

Tornato a Lucca nel marzo 1871 coerentemente, tenacemente continuò a svolgere un’indefessa attività giornalistica, politica, letteraria, mentre faceva pratica d’avvocato a Firenze e poi, emarginato nei fatti dalla sua comunità di appartenenza, era costretto a cercare altrove una qualche fortuna professionale. Si trasferisce, quindi, a Bologna dove frequenta il Carducci, a Massa, a Pietrasanta, a Genova.

Anche in quest’ultimo segmento della sua esistenza Tito Strocchi non rinnegò mai la sua natura di “soldato, tribuno, poeta” impegnato a insegnare “la giustizia, la verità, la bellezza dell’idea mazziniana” come recita la lapide apposta a Pietrasanta per ricordarlo.

Alfiere dell’idea mazziniana, lo Strocchi era, al contrario del suo Maestro, curioso, aperto, attento alle ragioni del socialismo aurorale, come testimonia la sua adesione alla ‘Sezione Internazionale di Firenze’ e la sua partecipazione al lavoro politico-organizzativo dell’’Unione Democratica Sociale del Fascio Operaio’ e della ‘Lega di Mutua Assistenza e Resistenza per le Società Operaie Democratiche di Firenze’.


Venuto a mancare il 12 giugno del 1879, neppure allora, da morto, Tito Strocchi ebbe riconosciuto da Lucca il diritto al rispetto e alla pietas.

L’agitatore repubblicano, infatti, poté essere sepolto nel cimitero urbano della sua città contro il parere della Giunta municipale di allora e del sindaco Bernardini solo in virtù di un duro intervento prefettizio e della mobilitazione di tutte le energie laiche lucchesi e toscane nient’affatto disposte a subire l’intolleranza di chi ancora intendeva la pubblica amministrazione come braccio secolare della Chiesa e interprete delle sole tradizioni cattoliche della città.

Una vicenda destinata a reiterarsi tre anni e mezzo più tardi, quando la ‘Società dei Reduci delle Patrie Battaglie’, nonostante l’ennesimo rifiuto dell’Amministrazione comunale, ancora una volta impugnata dall’autorità prefettizia, riuscì a imporre l’edificazione e l’inaugurazione di un modesto monumento funebre al protagonista di Digione con tanto di epigrafe dettata da Giosuè Carducci:

SE FORTEMENTE SENTIRE - È DA ROMANI - ONORATE, O CITTADINI, LA TOMBA – DI - TITO STROCCHI - MORTO A TRENTATRE ANNI - NOBILI COSE PENSÒ - DEGNE SCRISSE -COMBATTÈ VALOROSO - NEL TRENTINO, NELL’ AGRO ROMANO, A DIGIONE - NULLA CHIESE E NULLA EBBE NEL MONDO - SE NON TARDA PIETÀ

Dunque nel nome di Strocchi due affermazioni del movimento laico e democratico lucchese e toscano postunitario, che testimoniano, comunque, un rapporto conflittuale tra la città e la memoria del militante repubblicano, parzialmente sanato solo nel 1913 dal monumento di Francesco Petroni nel loggiato di Palazzo Pretorio: un conflitto riacutizzatosi, però, negli anni del fascismo.

Non si dimentichi, infatti, che il 3 gennaio 1925, nelle stesse ore in cui Mussolini, col discorso alla Camera “dell’Aula sorda e grigia” si assumeva tutte le responsabilità del delitto Matteotti, annunciava provvedimenti repressivi e autoritari e imprimeva una svolta decisiva in direzione della dittatura, i fascisti lucchesi assaltavano e devastavano la sede della Fratellanza Artigiana in Corte Sbarra; distruggevano carte e documenti, tra cui alcuni autografi di Mazzini e Garibaldi, e trascinavano la camicia rossa di Tito Strocchi come un trofeo per le vie della città.

Poi, escludendo alcune modeste pubblicazioni apparse sporadicamente, attorno alla figura di questo generoso militante dell’idea nazionale c’è solo il silenzio.