Senza arrivare a condividere l’affermazione perentoria del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach per cui Der Mensch ist, was er isst, “l’uomo è ciò che mangia”, certo è che il cibo, i procedimenti per elaborarlo e le stesse forme di organizzazione del convito, appartengono alla storia della cultura e rappresentano degli imprescindibili dati antropologici capaci di descrivere i tratti essenziali della vita e dei comportamenti degli uomini.
Non meno del corpo, la mente sembra saziarsi dei piaceri della tavola, in un gioco continuo di conservazione e novità, consuetudine e invenzione, rispetto della tradizione e contaminazione di esperienze gastronomiche di tempi e luoghi diversi.
Sulla memoria dei mangiari poveri di una volta, modulata secondo un garbato mix di rimpianto e ironia, si sofferma Simonetta Simonetti, lucchese, appassionata ricercatrice del passato e dei costumi recenti e meno recenti della città delle Mura. E di Lucca, sul filo dei ricordi personali, l’Autrice intende recuperare la pratiche gastronomiche, cordiali e casalinghe, in uso presso le famiglie operaie e della piccola borghesia cittadina negli anni cinquanta, quelli ‘poveri, ma belli’, quando non esistevano gli snakes e il precotto, il forno a microonde e il frullatore… E la rielaborazione degli avanzi era un’arte che nasceva dall’esigenza di far quadrare con dignità bilanci familiari modesti, quando non modestissimi.
Così, intercalate da proverbi vernacoli caduti in disuso, da filastrocche, cantilene e favolette che accompagnavano l’atto del mangiare, soprattutto dei bambini ma non solo, nelle pagine che seguono fanno la loro riapparizione ricette mai dimenticate, almeno dalla memoria tattile, visiva, olfattiva, del gusto: il pane fritto, la minestra maritata, il pancotto, i carciofi ritti, il lesso rifatto… A dare a queste umili, dimesse vivande ancora più sapore intervenivano non solo i robusti appetiti dei figli del dopoguerra, ma soprattutto, sembra dirci l’Autrice, il piacere della convivialità, dell’incontro a tavola. Sì, perché la riunione delle persone per mangiare insieme era ancora un fatto importante. Era metafora dell’unione, dell’amicizia, della famiglia: non semplice atto nutrizionale, ma gesto rituale, ad alta densità simbolica, di accoglienza e condivisione, attento sia alla preparazione, sia ai modi dell’offerta. Manifestazione di omaggio, di gioia, d’amore tutt’assieme: stati d’animo tanto più intensi e profondi se espressi con l’alfabeto semplice e diretto del cibo, dei suoi afrori e profumi, dei suoi colori e sapori.
Con divertita misura Simonetta Simonetti e il suo Nulla, fa bono all’occhi ricordi, ricette, fantasie in cucina, Lucca 2010, contribuiscono a contrastare sia la perdita di memorie antropologicamente fondative, sia la barbarie rappresentata dal fast food, dal mangiare in piedi, dal cibo-spazzatura alla McDonald’s … Perché, diciamola tutta, se è vero che a tavola si conosce l’uomo, allora i nostri contemporanei ci piacciono davvero poco!
Simonetta Simonetti, Nulla, fa bono all’occhi ricordi, ricette, fantasie in cucina, Edizioni COLORè , Lucca 2010, pp.88.