Un continente in
rapida trasformazione
rapida trasformazione
Le vicende recenti e recentissime del continente
latino–americano appaiono contrassegnate dallo sviluppo, talora impetuoso a
volte più lento, di importanti processi democratici che investono sia la
dimensione del rinnovamento istituzionale, sia quella di significativi
cambiamenti sul terreno dei rapporti sociali. Sviluppo e processi che non
avrebbero avuto l’attuale forza e larghezza e, forse, non si sarebbero neppure sviluppati
se nei decenni precedenti alcune straordinarie figure femminili, in grande
solitudine, non avessero testimoniato in maniera coerente e senza tentennamenti
una fortissima esigenza di legalità e rispetto dei diritti umani. Pensiamo, per
esempio a Rigoberta Menchu, l’india maya guatemalteca emblema della sofferenza
e della lotta del suo popolo, premio Nobel per la pace nel 1992 o alle madri argentine
di Plaza de Mayo, imperterrite e implacabili nella loro ricerca di verità e
giustizia in nome dei figli scomparsi senza lasciare traccia nelle carceri dei
macellai in divisa argentini. Senza trascurare l’immensa moltitudine di donne
destinate a rimanere senza nome, duramente impegnate nel privato di durissime
esistenze quotidiane e nella politica, a trasformare la realtà per sé e per i
propri figli in qualcosa degna di essere vissuta a partire proprio da
condizioni minimali di vita come la salute, l’istruzione, il lavoro: dignità e
giustizia sociale, per capirci. Dobbiamo anche alla loro tenace e intelligente
resistenza, l’affermazione alle massime cariche rappresentative di donne che
con coraggio hanno saputo reagire alla maledizione latinoamericana dei governi
corrotti, dello strapotere delle multinazionali, delle oligarchie finanziarie e
degli interessi geopolitici nordamericani: stiamo parlando della presidentessa
brasiliana Dilma Roussef, considerata una delle donne più potenti del mondo,
dell’argentina Cristina Fernandez de Kirchner dalla fine del 2007 alla guida
del suo Paese, della socialista Michelle Bachelet da poco insediatasi alla
presidenza del Cile. Una vera e propria rivoluzione in un continente dove
milioni di mujeres continuano a
soffrire per le discriminazioni e la violenza e un a diffusa cultura machista
Si chiamava
Marianella Garcia Vilas
Di una, però, soprattutto non intendiamo smemorare e,
ricordando lei, vogliamo fare ancora una volta memoria di tutte le donne che
con il loro sacrificio hanno illuminato, e dato senso, nonostante tutto, agli
anni difficili e complicati che ci siamo trovati e ci troviamo a vivere:
intendiamo parlare della salvadoregna Marianella Garcia Vilas, l’Antigone
latinoamericana, la sorella dei morti, l’avvocato dei poveri e degli oppressi,
l’antagonista del tiranno che ha fatto della sua breve vita e della sua atroce
morte avvenuta il 13 marzo 1983 un esempio e una testimonianza per l’America
latina e per il mondo intero. Una scelta portata fino in fondo con le sole armi
della parola, della denuncia coraggiosa e instancabile, della condivisione.
Marianella era nata nel 1948 da una famiglia dell’alta
borghesia del Salvador, il più piccolo e il più tormentato tra i tormentati
paesi dell’America centrale. Formatasi in un ricco e prestigioso collegio
religioso spagnolo, passa dalla militanza nelle file della Democrazia cristiana
salvadoregna agli arresti e alle persecuzioni ad opera delle forze di sicurezza
del democristiano Napoleon Duarte. La sua presa di coscienza assume caratteri
sempre più radicali in risposta alla situazione di violenza e terrore scatenata
nel paese dagli ‘squadroni della morte’ strumento di un’oligarchia latifondista
e militare che fa tacere con l’assassinio anche la voce del vescovo Romero, cui
Marianella è legata da un intenso rapporto spirituale fatto di profonda
amicizia e collaborazione.
“Io non so se avrei la forza di sparare e di uccidere
qualcuno per difendere la mia vita o quella di altre persone; penso che mi
farei ammazzare”: non violenta per scelta in un paese dominato dalla violenza,
per tutta la durata della sua breve vita, Marianella si batte con le armi della
ragione e dell’amore contro la logica della violenza e della sopraffazione
esercitate a spese dei più deboli, degli emarginati, dei ‘senza voce’.
Accusata
di terrorismo, armata solo di macchina fotografica
Forte
del suo coraggio e armata solo di una macchina fotografica, cerca testardamente
di dare un nome ai poveri resti di uomini e donne, contadini e intellettuali,
operai e preti, suore e guerriglieri, abbandonati per le strade, denunciando
con determinata fermezza in tutte le sedi nazionali e internazionali – quale
presidente della commissione per i diritti umani del Salvador sarà spesso in
Europa e in Italia tra il 1981 e il 1982 – le atrocità di cui è testimone, documentando
con paziente minuziosità gli orrori dell’ esercito salvadoregno che aveva cominciato
a fare ricorso all’uso delle armi chimiche contro la popolazione civile.
“Presto sentirete parlare di me, perché mi
ammazzeranno” aveva detto ai suoi amici italiani. Nonostante questa profonda
consapevolezza, Marianella sentiva di non poter, non voler fuggire il suo
destino e sceglieva di rientrare clandestinamente in Salvador per portare sino
alle estreme conseguenze la sua scelta dei poveri e degli oppressi, la sua
lotta per i diritti umani. “La mia storia”, affermava Marianella “è parte della storia di tutto un popolo;
posso essere un testimone, ma non un personaggio; il mio non è un caso unico,
singolare fuori dal comune; quello che è successo a me è successo a migliaia e
migliaia di uomini e donne in tutto il Paese. Il mio è un caso comune. Certo,
ci sono le particolarità e di ogni vita, incidentalmente si possono aver
vissuto momenti peculiari e diversi, ma la sostanza è quella di un cammino che
si confonde con quello di tutti…”
Il 13 marzo 1983, Marianella viene catturata
dall’esercito, brutalmente torturata, uccisa. Due giorni più tardi un
comunicato stampa delle forze armate informava che presso il villaggio di La Bermuda, nel Cuscatlan, in
uno scontro a fuoco assieme ad altri guerriglieri era caduta la terrorista
Marianella Garcia, ovvero la ‘comandante
Lucia’ che guidava il gruppo: secondo uno stile e una prassi già tristemente
collaudata in Salvador si cercava di far apparire l’ennesima esecuzione
extragiudiziale come conseguenza di uno scontro armato. D’altra parte, l’unica
arma trovata in possesso della ‘pericolosa terrorista’ era una macchina
fotografica, la stessa che l’aveva fedelmente accompagnata nel suo lavoro di
ricerca della verità. Marianella è il numero 43.337 nell’elenco delle vittime
civili di El Salvador, un Paese un po’ più piccolo della Sicilia, el Pulgarcito de América, “il Pollicino
d’America” con sei milioni di abitanti.
Un libro per
ricordarla
La vicenda e la testimonianza estrema di questa donna
straordinaria sono state recentemente riproposte in un libro intenso e commosso
scritto da un saggista italiano, Anselmo Palini per favorirne il ricordo e la
riflessione. Nel titolo, Marianella Garcia Vilas “Avvocata dei poveri, difensore
degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi” è racchiuso il
senso di un’esistenza e l’alto valore simbolico di questa Antigone dei nostri
tempi che entra a pieno titolo nella storia dolorosa dell’emancipazione
dell’America latina e di tutto il Terzo mondo: a oltre trent’anni da quella
tragica fine, la storia di amore e morte per i poveri di Marianella Garcia
Vilas ancora ci appartiene, ancora chiede ragione a tutti quanti noi che, figli
dell’Europa affluente e dell’Italia satolla siamo stati – e per molti versi
siamo a tutt’oggi – spettatori muti, distratti ma non incolpevoli.
Anselmo Palini, Marianella Garcia Vilas “Avvocata dei
poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi,
Editrice AVE, prefazione di Raniero La
Valle, postfazione di Linda Bimbi, pp. 266, Euro 12,00
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