mi rivolgo a Lei con parole molto semplici e, spero, abbastanza
fedeli alla situazione in atto. Sono certo che desidera sapere cosa sta accadendo
oggi, ottant'anni dopo la comparsa del Suo saggio più famoso e citato:
"L'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità tecnica".
Tutto
quaggiù è profondamente mutato. Dicono sia il portato del nuovo Millennio e
delle nuove generazioni. Il Suo saggio? Vuole saperLo? È ormai addomesticato
dall'uso e il titolo viene sbandierato come uno slogan-filastrocca da chi
procede in rivolta contro l'esagerazione consumistica del mondo moderno. Lei
salutava come una minaccia la scomparsa dell'unicità estetica e materiale
dell'opera d'arte in mano alle nuove tecniche della fotografia e del cinema in
bianco e nero. Altra epoca. Lei, se mi permette, è ancora un uomo della
galassia Gutenberg: parla di libri, di viaggi, di silografie; ma in poco più di
tre generazioni (non ci separa nemmeno un secolo!) è passata la nuova
rivoluzione copernicana: la Galassia Internet e, con essa, la nuova
comunicazione virtuale.
Al Suo tempo l'opera dell'arte era il Mondo: una
finestra dalla quale poter cogliere tutto o molto dell'esistenza umana. La
"finzione" artistica era una forma di conoscenza che apriva la via
della verità, come l'angelo di Klee che Lei meravigliosamente descrive. Il modo
della fruizione e circolazione delle opere d'arte era molto più dilatato; la loro
riproduzione , per usare le Sue parole, era frutto o di amore, o di studio o di
guadagno - tre forme sane di dialogo culturale col passato e colme di senso. Mi
fa tenerezza la Sua paura del linguaggio artistico in mano alla dittatura dei
Totalitarismi. Pensava che, in mano alla Storia, valori quali il genio, la
fantasia, la creatività, il valore eterno, il mistero potessero sprigionare la
loro potenza in maniera disumana.
Se mi permette, Lei era un romantico e un
umanista: un connubio che oggi non ha più valore ed è anzi oggetto di berlina.
Non aveva previsto che la 'disumanizzazione' potesse avere origine dalla
società di massa, anzi dalla Società dello Spettacolo come scrisse un Suo
ammiratore, Guy Debord. Mi duole darLe questa notizia dello stato della
fruizione dell'opera d'arte. I suoi nodi portanti - arte e tecnica;
autentico/falso; estetizzazione della politica - si sono sciolti in direzione
digitale. Oggi, Sa, si "riproduce" l'opera d'arte per non produrre
nessun senso, nessuno scatto di conoscenza, nessuna interpretazione. Siamo al
di là della scomparsa dell' "aura": il cinema gioca a trasformare le
opere in filmati di animazione o a costruire mostre-Luna Park con opere
assenti; mentre il clic meccanico dello scatto, incluso in piccole e sottili scatole
portatili, isola frammenti nei quali non tanto ritroviamo il "ritorno del
morto" (la definizione è di un altro Suo ammiratore: Roland Barthes),
quella melanconia fissata che seduce e fa meditare, quanto il Ritorno del
Banale.
So che stenta a comprendere questo quadro. La diffusione dell'opera
d'arte a livello di massa - Suo tema portante - è sfociata nell'autoscatto: si
entra nella mostra o nel museo, nella chiesa o nel palazzo, non tanto per
vedere e capire quanto si ha davanti, ma per far sapere che si è lì; per
informare che l'ego è in presenza di un capolavoro. Lei avrebbe usato un
taccuino, lo so. O meglio: il "selfie" si aziona per creare un Evento
non interiore ma esteriore e mondano, e per il quale l'opera retrocede a far da
sfondo al corpo. In questa forma di "riproducibilità" l'opera d'arte
diventa glossa di commento al narcisismo del selfista. L'esperienza dell'aura,
come qualcosa di sacro e separato dal rumore del noto, è stata sostituita dal
protagonismo del fruitore che diventa il punto focale della visione: unico e
vero soggetto di una rappresentazione costruita tra obiettivo meccanico e opera
d'arte storica, ridotta a mera tappezzeria decorativa della posa plastica.
Stenta a crederMi e La capisco professor Benjamin. Tutto questo rende antico e
nobile il Suo sdegno e il Suo lessico. Ogni confine tra autentico e falso è
ormai caduto. Siamo oltre la sparizione dell'aura. Ciò che ha valore
nell'attuale fruizione dell'opera d'arte è un nuovo "hic et nunc": il
Ritorno dell'Apparire Narcisistico come Evento puramente autocelebrativo e
massmediatico. Non aveva previsto questo destino della fotografia, vero? Ma non
voglio turbarLa oltre. Mi rimetto alle Sue parole, quanto mai contemporanee:
"Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto". Allego
alla lettera qualche "selfie" con opera d'arte a sponda visiva delle
mie parole.
Cordialmente,
Suo Davide
Sulla lettera
Manuel Casella Una risposta degna di nota
direi... riassunto impeccabile delle recenti ed amare registrazioni vocali.
Davide Pugnana Amare, ma realistiche...ma come mai,
secondo te, questo silenzio intorno a questo fenomeno? Se aspettavo Montanari...allora ho fatto un
po' come avrebbe fatto lui. Mi sembra strano che questo fenomeno di massa, in
costante crescita, non richiami l'attenzione degli studiosi o dei sociologi.
Nemmeno sul web si trova qualcosa in proposito se non generalissimo. Allo
stesso modo, sulle mostre in digitale nessuna voce si è levata.
Giorgia Yves Balestrino E' affezione, puro sentimento,
sentirsi un tutt'uno con l'oggetto studiato, capito e amato. Ma da fuori come
appare, se non nello stesso identico modo con cui si guarda e giudica un selfie
scattato per mero narcisismo del protagonista? E' un po' come se uno studente
in odontoiatria si immortalasse alle spalle con una dentiera sorridente?
Manuel Casella Io, Giorgia, sono estremante avverso alle foto con le opere.. per
farmene una, in quel di Londra, davanti al mio caro Fuseli c'è voluta tutta la
tua persuasione e non dire di no
Giorgia Yves Balestrino Ma come ho scritto, per chi
studia e comprende e apprezza, la foto con l'opera risulta essere come una
sorta di foto con l'amato, non credete?
Davide Pugnana Sapevo che la foto del mio profilo sarebbe stato
l'offerta del fianco e infatti attendevo... Potevo toglierla prima di scrivere
il pezzo, per risultare coerente; ma l'ho lasciata perché non rinnego il
passato, l'ora, il giorno e l'occasione di quella foto, che mi sono cari. Era
il 2014. Ora ho iniziato a vedere la cosa in maniera diversa e a rifletterci
sopra. Questo pezzo non è intende colpire nessuno, ma denunciare una tendenza.
Giorgia Yves Balestrino Nemmeno io voglio colpire
nessuno, quindi te semplicemente dici di aver cambiato idea. Io, nella tua foto
(e non nei selfie scattati da chi guarda tutto ma non vede niente), non ci
trovo nulla di male... è come se un artista si facesse un autoritratto mentre
dipinge, no? Solo che sono cambiati i mezzi e i tempi..
Virginia Yves Comoletti Davi… perché ho condiviso quel
momento con te e perché condivido il tuo amore per l’arte, non poteva esserci
commento più terribile. Che significa colpevolizzarsi e rinnegare, rinnegare
cosa –l’amato?: non posso sentire queste cose uscire dal mio Arcangeli
preferito. La questione non può sfuggire di mano: nel demonizzare una tendenza
aberrante si deve comunque evitare di invasare sotto campane dorate i prodotti
del passato. Nemmeno posso condividere il rifiuto totalmente –a/storicistico e
aprioristico- dello scattarsi una foto accanto a un dipinto. A-storico, perché
siamo tutti pronti a difendere lo storicismo quando si tratta di analisi lucida
e rigorosa di un’opera, ma facciamo poi gli a-storici –reverenziali nei
confronti dei giganti passati- dimenticandoci di prenderci cura del nostro
tempo e forse di noi stessi. Io accanto a quel dipinto che amo mi ci metto
eccome, mi ci metto per dirgli che io sono in questo tempo e voglio prendermi
cura di lui –oggi- con i mezzi e gli strumenti che ho a disposizione. Neanche
le opere d’arte si salvano da sole.
Manuel Casella Io sinceramente non ne vedo e sento il bisogno di
farmi un selfie con un'opera. Sono semplicemente diversi modi di esternare la
propria passione.. io preferisco un foglio e una penna o anche niente. Sta di
fatto che qui si giudica piuttosto la tendenza comune e non quella del
singolo.. Altrimenti si potrebbe dire, senza cercare tante giustificazioni, che
ognuno ha le proprie debolezze e i propri narcisismi
Virginia Yves Comoletti Ma qui non si tratta più del
selfie accanto ad un'opera, e neanche del leggervi tendenze narcisistiche a
scanso di banalizzare tutta la questione. Quello che intendevo fare del selfie
era la metafora delle possibilità di oggi e più precisamente del pensare alla
storia dell'arte in relazione al nostro tempo. Ieri con un collega ci si
accorgeva quanto -oggi- la letteratura, la poesia, la filosofia, l'arte si
esprimano sotto forme incapaci di parlare il nostro tempo e quindi al nostro
tempo. Non funzionano più, non hanno più presa diretta sulla realtà, non
smettono di celebrare il funerale di ciò che è stato in un tentativo fallito in
partenza di emulazione per troppa riverenza nei confronti dell'auctoritas. E
con grande rammarico -per due umanisti che ne discutevano- ci si accorgeva che
a rappresentare lo spirito del nostro tempo è facebook (soppiantata
l'autobiografia alfieriana), internet, le moderne tecnologie. Dato ciò per
assunto, (io piango e mi rifugio in versi scritti 100 anni fa eh sia chiaro),
ma mi rendo anche conto che bisognerebbe tentare di trarre da ciò, in dialogo
con quello che siamo e non con le citazioni di Longhi, del positivo e del
creativo. Del NUOVO.
Manuel Casella Nessuno qui si pone contro il NUOVO a priori.
Almeno, non io e penso neanche Davide. Quello che si critica è un sintomo, una
moda, data dalle tecnologie moderne che, senza un ferreo aggrapparsi al
passato, rischiano di trascinare chiunque nella confusione più totale. Il
dialogo con il Nuovo ci può stare, anzi ci deve essere. Io personalmente non
sono contrario né a Fb, né a Instragram, né ai musei interattivi e alle mostre
digitali e chi più ne ha più ne metta, ma insomma.. il rischio di creare
confusione, con questi nuovi mezzi, penso sia sempre dietro l'angolo, così come
le mode odiose nelle foto che ha postato nel commento Davide. Ripeto, ognuno fa
ciò che vuole ed è giusto così.. da chi si fa una foto ricordo, da chi si fa la
foto con l'amato/a opera d'arte, da chi ci fa lo scemo.. a chi, invece, non
vuol vedere la sua losca figura intralciare un qualcosa di molto più
interessante.
Giorgia Yves Balestrino Ma è questo che non capite! Le
foto hanno scopi diversi! Scattarsi una foto-ricordo con un'opera che hai studiato
per mesi e mesi e che finalmente vedi.. è per dire: Oh che bello, ci sono
stata, l'ho vista dal vivo e magari non la rivedrò più per molto tempo.
Poi ci sono foto che fai solo all'opera d'arte e poi ce ne sono altre dove
magari fai lo scemo, ma hanno tutti piani diversi! Voi non riuscite a scindere
questi piani e a saper riconoscere dove finisce l'uno e inizia l'altro. E' come
quando vai a Ferrara e ti fai la foto con il Castello Estense, non te la puoi
fare perchè oscuri un'opera architettonica di cotanto livello? Boh, a me sembra
di parlare sul niente.. Un conto sono i turisti che non capiscono una cippa di
quello che stanno vedendo e magari si scattano foto con la Venere di
Botticelli solo perchè è famosi.. ma NON potete pormi le foto che si fanno gli
storici dell'arte sullo stesso piano .
Virginia Yves Comoletti Ed è il ferreo aggrapparsi al passato che può
rovinare il futuro... soprattutto quando il passato non è più attuale.
Giorgia Yves Balestrino Manuel Casella Io quando ho visto finalmente Fragonard alla
Wallace sono rimasta in contemplazione un'ora e poi ti ho chiesto di farmi la
foto (che tra le altre cose me le hai fatte tutte sfocate hahaha), adesso ho
quella benedettissima foto appiccicata sul muro a coronare un momento
bellissimo della mia vita in cui io e Lei eravamo insieme.
Davide Pugnana Ragazzi, qui non è in gioco nessuna dialettica
antico/nuovo, né si vuole demonizzare il contemporaneo e i suoi mezzi. Ho
scritto questa pseudo - lettera perché il concetto di Benjamin mi offriva la
possibilità di una categoria di senso (la "riproducibilità selfica")
per nominare il fenomeno in crescita dell'autorappresentazione narcisistica
attraverso lo scatto. Come vedete, ogni museo adotta questa strategia : la giornata
del "selfie" al museo è ormai realtà consolidata. Altro livello sono
le dinamiche di comunicazione museale attraverso app, le cose non vanno
confuse. L'intento della lettera e la sua vis polemica hanno sollevato la
discussione dirottandola nel caso personale ed è giusto perché ci siamo
immersi, perché ne facciamo esperienza, perché ci riguarda. È chiaro che in una
paginetta non potevo sfumare l'intera tastiera fenomenologica, scavare in ogni
"selfie" individuale e andare a toccarne le intenzioni latenti
(omaggio, sentimento, riconoscenza, atto d'amore ecc), per questo ci vorrebbe
un saggio a sé. A me interessa bucare la bolla di silenzio che ostinatamente fa
spessore attorno a questi fenomeni pop, dalle mostre in digitale al Rembrandt
in 3d fino al selfie come intrusione banale del corpo che scherma l'opera o ne
mima la posa delle figure, o l'animazione cretina dei vari "Loving
Vincent". Continuerò a criticare duramente e a gamba tesa questi fenomeni
di betise humain. Chi ne parla? Nessuno. Ci si fa andare bene tutto, a partire
dal duro pregiudizio sull'arte contemporanea che non ha più niente da dire. La
lettera corre sul cerchio e guarda il centro da lontano. Con Manuel ne abbiamo parlato a lungo e siamo d'accordo sulla
difesa degli strumenti di metodo e di comunicazione, anche divulgativi, per
portare l'arte al grande pubblico. Ma queste sono strategie serie di dialogo
che trascendono il dato individuale.
Virginia Yves Comoletti Ma secondo me qui tutti
condividiamo la stessa posizione ( di belfie è sempre meglio) Cioè siamo tutti
d'accordo a condannare una moda- tendenza aberrante. Semplicemente quello su
cui puntavo l' attenzione (andando oltre volontariamente al contenuto della
lettera, senza voler fare dell autobiografismo e dirottandomi verso l origine
del fenomeno )è appunto come e perché una tale tendenza ha oggi ragione di
esistere. E la risposta che ho dato ci fa figli del nostro tempo. In questo
senso la condanna penso vada riletta. Non giustificata, ma assunta come il
prius di un posteriius che in termini di divulgazione ma anche della funzione
che l Arte stessa oggi assume può fare la differenza.
Davide Pugnana Però attenzione al termine "condanna".
Qui siamo a che fare con un eccesso di teatralità e di ego che, insieme ad
altre forme, sta invadendo uno spazio come il museo. Mi spiego. In pochissimi
staranno un'ora di fronte a Fragonard e chiederanno una foto che sia il
piccone ficcato sul cranio di un Everest scalato per mesi e finalmente
conquistato. I più passano, riconoscono l'opera stranota (vedi la cantante agli
Uffizi che fa la smorfia davanti a Botticelli) e, senza guardarla davvero, le
girano le spalle per scattare un selfie nel quale ciò che conta è la propria
presenza in quel luogo da postare subito sui social. Sono circa 30 secondi ad
opera, poi si gira sala e via con la prossima. Alla fine, che cosa rimane? È
questa povertà o esperienza estetica mancata che mi indigna. I dieci euro di
biglietto spendili diversamente! Il museo è un luogo dove si sta a guardare e
ci si dimentica dell'esigenza di esteriorizzare su un diario pubblico un
momento che dovrebbe far parte dello spirito. Ragionare così è fuori moda? La
questione "divulgazione" nei musei è cosa a sé rispetto al selfie,
che non divulga interpretando, ma riproduce ri-specchiando l'ego del visitatore
distratto. Questo è il punto. Quei 30 secondi di scatto sono sottratti alla
visione vera che viene mancata. Non si rinnega il proprio tempo e la sue forme,
ma visto che queste forme serie di divulgazione ci sono perché legittimare una
pratica autoreferenziale?
Giorgia Yves Balestrino Comunque sia, io condannerei
molto di più chi crea mostre digitali prive di contenuto (che appunto sono
ideate da esperti del settore) piuttosto che il visitatore ignorate che si
mette a fare le smorfie davanti alla Gioconda. Almeno il visitatore ignorante
dentro al museo è entrato, chissà mai se, oltre alla foto stupida, non gli sia
rimasto anche altro? Se è vero che "l'arte è un appello al quale troppi
rispondono senza essere stati chiamati" ..non è altrettanto vero che
"l'arte è un incontro dal quale difficilmente si esce illesi"?
Purtroppo oggi è così: si guarda tutto e non si vede niente, ma proviamo noi, storici del domani, a far avvicinare le masse in modo intelligente, no? Se oggi è addirittura necessario attirare la gente con l'espediente del selfie (perchè il livello si è abbassato come non mai prima) perchè non farlo? Bene, ti sei fatto la foto? Adesso "ti prendo per mano" e ti faccio vedere ciò che tu, senza un obiettivo, non vedi. Il problema ormai esiste, Volente o nolente la realtà è questa: cerchiamo di trovare una soluzione invece di condannare e basta.. non credete?
Purtroppo oggi è così: si guarda tutto e non si vede niente, ma proviamo noi, storici del domani, a far avvicinare le masse in modo intelligente, no? Se oggi è addirittura necessario attirare la gente con l'espediente del selfie (perchè il livello si è abbassato come non mai prima) perchè non farlo? Bene, ti sei fatto la foto? Adesso "ti prendo per mano" e ti faccio vedere ciò che tu, senza un obiettivo, non vedi. Il problema ormai esiste, Volente o nolente la realtà è questa: cerchiamo di trovare una soluzione invece di condannare e basta.. non credete?
Davide Pugnana Speriamo che ci sia questo scatto in avanti nella
fruizione. Io non potrei che esserne felice. Per
quanto riguarda le mostre digitali, il loro successo è dato dal consenso del
pubblico che foraggia queste macchine messe in piedi per far soldi e
pubblicità. Se non ci andasse nessuno, finirebbero dopo qualche tentativo. In
questo senso, libri di Montanari strappano il velo e ti fanno vedere cosa c'è
dietro musei e mostre. Ti rendi conto che c'è tutto quanto ha prodotto e sta
producendo la mentalità manageriale e la filosofia del "business".
Giorgia Yves Balestrino Esatto, questo sistema lo hanno
creato e ora siamo noi a dover combattere contro i "fenomeni del
niente", ma ciò che propongo io è: visto che per la prima volta si è
trovato un modo per rendere interessante qualcosa di non intuitivo, che ai più
può anche apparire pedante, perché non sfruttarlo in senso positivo?
Appropriamoci di questi mezzi che, come hai visto, funzionano e utilizziamoli
per creare qualcosa di buono.
Jacopo Suggi Caro Davide, hai toccato un argomento scottante che
ovviamente non interessa solo il mondo dell'arte, ma come ormai la società si
approccia ad ogni cosa. Evidente che la tendenza selfica non è altro che un
prodotto di una società massificata che è abituata ad approcciarsi ad ogni cosa
come lo si fa con i prodotti di consumo. La necessità di condividere con il
maggior numero di persone la propria posizione, di far sapere a tutti cosa si
sta guardando e dove, non avvertire più il bisogno spirituale di solitudine, e
ancora, l'ossessione di dover vedere, fare, provare ciò che la società reputa
indispensabile non sono che l'ultima derivazione di questo modello consumistico
reso possibile dalle nuove implementazioni tecniche, ma risultato di un
percorso iniziato ormai da anni (basti l'esempio dell'immancabile foto del
turista a spasso nelle capitali davanti ai bar Hard Rock, magari senza neppure
fare lo sforzo di entrarci). Il motivo poi per cui ti interroghi su questa
penuria di riflessioni sul tale attualissimo tema è da imputarsi a una sorta di
distaccamento/isolamento, che colpisce in maniera particolare gli storici
dell'arte (ma a cui non fanno eccezione molti intellettuali), che evidentemente
non son riusciti a tenere il passo con i tempi, a "sporcarsi" le mani
con i nuovi usi e costumi, ma che preferiscono il loro idilliaco esilio
atemporale. I tempi sono cambiati e gli storici dell'arte dovrebbero in qualche
modo accompagnarli.
Manuel Casella Scusate eh.. ok, l'autoscatto, il famoso
"selfie", davanti ad un'opera può essere giustificato. Quindi, uno
che non se li fa, perché la reputa una cosa inutile e insensata, non è al passo
con i tempi ed è rinchiuso nella sua torre d'avorio? Ma stiamo scherzando?
L'autoscatto è una pratica INDIVIDUALE che viene fatta dal SINGOLO per vari
motivi. Da questa discussione abbiam capito che c'è chi gli piace rivivere quel
ricordo perché gli piace vedersi con l'amata opera (come è stato detto) oppure
chi, come nelle foto sopra, perché è semplicemente un superficiale come notiamo
nei molti esempi di selfie nei musei. Non tutti i selfie son sullo stesso piano
dunque, come ha detto Giorgia, ma non mi venite a dire che adesso se uno
storico dell'arte non si selfizza (?), non si mette al passo con i tempi... non
mi venite a dire che lo storico deve accompagnare la tendenza selfica per
guidare i greggi con i cellulari in mano... se si pensa davvero così, poso
l'ascia da guerra di questa discussione e magari me la pianto
nella giugulare.
Davide Pugnana Come ho scritto in precedenza, la fenomenologia delle
intenzioni che muovono il "selfie" in sé sono varie e seguono impulsi
e desideri individuali. Jacopo estende , giustamente , questa appendice
"selfico-museale" ad un fenomeno di più ampia portata che ha a che
fare con un orientamento della società di massa e con i media. A monte, quindi,
abbiamo messo la lente di ingrandimento su una propaggine della società del
consumo e dello spettacolo. La fotografia ha sempre accompagnato gli studi di
tipo visivo: dallo scatto sul dettaglio alla foto come appunto visivo, come
frammento di un'intuizione da lasciar sedimentare e rielaborare alla scrivania;
oppure come documentazione di uno stato di conservazione o di un allestimento e
quant'altro. Foto e museo è un connubio fortunato; così come foto e storico
dell'arte. Gli strumenti per la guida museale sono però altri rispetto al
selfie "al museo" che, nel suo accadere specifico e in mano ai
superficiali, diventa una forma di affermazione borghese di superiorità
intellettuale. Non solo il selfie al museo ha il dato spazio/temporale
("Guarda dove sono", "Guarda come impiego il mio tempo");
non solo ha il dato sociale ("Guarda dove sollevo il mio status"); ma
anche il dato di appartenenza e di alterità rispetto ad un pubblico che deve
ammirare: "Guarda chi frequento: opere, musei, Bello...". So che
suona antipatico, ma è la radice psicologica del selfie al museo, e in questa
presa di distanza non posso che riallacciarmi alle parole di Manuel e darmi al "Surfi se le onde lo permettono.
Jacopo Suggi Perdonatemi ma non intendevo certamente sostenere che
anche lo storico deve cascare nella "minchiata" del selfie. Quello
che invece reputo necessario è che lo storico dell'arte smetta di essere
incomprensibile e criptico, se l'esigenza è quella di avvicinare sempre più
persone alla comprensione e tutela dell'arte in una società sempre più
distratta e malinformata anche lo storico dell'arte deve fare la sua parte,
impossibile aspettare tempi migliori. La promozione della storia dell'arte non
può essere solo difficile, noiosa e settoriale. Se non vengono prestate
alternative per approcciarsi alla comprensione dell'arte, non stupiamoci se gli
autodidatti si lasciano trasportare dalla massa e vedono l'opera d'arte come un
mero feticcio da aggiungere alla collezione degli "ho visto".
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