Godibilissimo anche, e soprattutto, per gli aneddoti autobiografici, questo
"fiore fresco" di Mario Praz non ha perso il suo profumo di colta
conversazione. L'interrogativo di sociologia del gusto estetico popular-'snob'
- se così si può chiamare un fenomeno variamente screziato - ruota attorno alle
intenzioni (non estetiche, ma di 'presenza' e 'convivenza') che guidano
l'acquirente nel momento della scelta dell'oggetto d'arte.
Che cosa muove l'elegante
signora che vorrebbe "acquistare un quadro di valore" e rifiuta il
piccolo paesaggio olandese da venticinque lire? Oppure, quale impulso cerca di
placare il "non molto distinto" signore, "senza dubbio
facoltoso", che entra dal libraio per acquistare un indistinto "mezzo
milione di lire di libri"?
Perché vi fu un'ondata collezionistica nella quale gli
americani facevano a gara per appendere alle pareti delle loro ville un Filippo
Lippi non "cieco", ossia provvisto di uno sfondo paesaggistico? E
perché un "illustre amico" tiene appeso in "camera da pranzo una
scena d'ospedale di Subleyras, grande da occupare tutta una parete",
inibendo ogni stimolo di appetito negli ospiti? Nessuna analisi formale degli
accordi cromatici o della composizione - continua Praz - varrebbe a mitigare o
giustificare l'insopportabile presenza/convivenza di queste iconografie
funeree. Diverso sarebbe se alle stesse pareti ci fosse un Morandi: "le
cui eteree bottiglie, le cui larve di mezzine di rame veramente offrono un
minimo di suggestione contenutistica". La "Giuditta" del
Caravaggio, a Palazzo Barberini", fu portato da una signora nel negozio
dell'antiquario Sebasti, in via Fontanelle Borghese Borghese a Roma, perché
"la vista in casa sua le era divenuta intollerabile per via della orribile
testa recisa di Oloferne"; ma l'antiquario la rifiutò.
Ci ritroviamo,
così, nella logica di un giudizio di gusto che confonde la vita con l'arte e
giudica la seconda col metro pratico della prima: l'opera 'non mi piace' perché
la presenza del suo soggetto è sgradevole, ossia non può essere esibita su quel
palcoscenico mondano che vede la teatralizzazione della parete, fatta schermo
ameno per il pubblico dei miei ospiti. Continua Praz: "Eppure anche quadri
in apparenza così difficili a viverci insieme ci è capitato di vedere
nell'appartamento di persone che, lasciate a se stesse, probabilmente non
avrebbero chiesto di meglio che di decorare le pareti con vedute di montagne e
di marine. Codeste persone, delle più modeste pretese estetiche, un giorno
imparano a 'saper vedere'; e non c'è nessuno come lo snob per spingere alle
estreme conseguenze una voga."
Lo snob ha bisogno di mostrare al pubblico dei suo ospiti
opere esaltate "dall'infatuazione del momento". Alla radice di ciò
c'è la moda, la quale opera il miracolo di rendere "desiderabile vivere
con cose in apparenza destituite d'ogni
attrattiva sociale". Un quadro non è un libro che, una volta letto, viene
riposto sullo scaffale. Il quadro "rammemora perennemente". È un
corpo; una presenza oggettuale che può essere letta a colpo d'occhio e d'un
subito, nella sua potente eloquenza non verbale. E allora perché lo snob
appende i quadri alle pareti? Perché sono "espressioni d'arte"? Per
il tasso di artisticità, al di là del che cosa rappresentano? Non del tutto.
Conclude Praz: "Perché, infine, i quadri che appendiamo alle nostre pareti
non li appendiamo soltanto, siamo sicuri, perché espressioni d'arte: i quadri
domestici son come i sogni, proiezioni
di desideri, di aspirazioni. E chi vorrebbe vivere sempre con sogni angosciosi?
Lo snob potrà per un momento reputarsi felice tra un'acida congrega di
geometriche nature morte, finché un giorno, risvegliato da un cambiamento della
moda, si spaventerà di esser vissuto in mezzo a una congrega di lamie, di a un
aver amato soltanto una testa d'asino, come Titania."
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