06 settembre 2016

"Antonio Possenti: il nostro Chagall lucchese" di Davide Pugnana




La scomparsa di Antonio Possenti - il nostro (si può dire?) Chagall lucchese, se non italiano - mi ha ricordato un passo di Jean Clair di grande bellezza. Non c'è solo l'idea che l'opera sopravvive all'uomo e vince il silenzio dei secoli. L'altra idea che lo sorregge fu già espressa, un secolo prima, da Fiedler nei suoi saggi sull'arte figurativa: la morte di un artista lascia orfano il mondo, privandolo di un "processo" artistico la cui attività interiore sarebbe infinita se immortale fosse la vita biologica del suo autore; la morte dell'artista è la sola forma di cessazione di questo vasto e interminabile lavorio spirituale che le opere realizzate non testimoniano che in parte, come sublimi frammenti.

"Un artista che muore lascia dietro di sé un vuoto molto diverso da quello lasciato da un altro uomo, qualsiasi fosse la sua importanza nella società. La morte dell'uomo comune, voi e io, provoca la sofferenza dei suoi cari, degli amici. Ma la morte di un artista è più irreparabile, perché colpisce tutti gli uomini. Assieme a lui, è tutto un mondo che scompare. Lui lascia un'opera, mentre altri molto più celebri quand'erano in vita, uomini politici, leader d'opinione, dirigenti di grandi società, capitani d'industria, non lasceranno niente.
L'artista lascia dietro di sé degli oggetti ai quali si attribuirà, probabilmente con un po' di leggerezza, la virtù dell'immortalità; sono comunque oggetti che, privi di qualsiasi utilità, senza nessuna destinazione d'uso, usciti dal circuito commerciale, sono testimonianze uniche e incomparabili nella loro fragilità e vulnerabilità, in questo senso impregnati, come i vasi di Babilonia, di una certa sacralità."  (Jean Clair)

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