13 novembre 2023

"Le farfalle di Sarajevo" di Priscilla Morris

 

di Marigabri

       Sulla dannata guerra fratricida in Bosnia finalmente leggo un libro antiretorico, sincero, maturo (niente protagonisti bambini/adolescenti a pietire afflati di lettori commossi) che racconta come Sarajevo sia diventata nel giro di pochi mesi una prigione a cielo aperto.

       Distrutta inspiegabilmente la cultura multietnica che la caratterizzava, di cui il rogo della bellissima biblioteca nazionale è il tragico simbolo, la città diventa il teatro di una guerra assurda e implacabile, sprezzante di ogni diritto umano e insensibile a ogni differenza: implacabile e assurda come tutte le guerre, del resto.

      Perché l’odio inveterato cerca il suo oggetto a caso e poi colpisce a raffica, ovunque. È il caso dei cecchini appostati ai piani alti di qualche edificio che si dilettano a fare il tirassegno contro chiunque abbia la sventura di passare per strada in quel momento. Giovani, vecchi, donne, bambini: è lo stesso. L’odio praticato come religione rende tutti uguali nello spargimento di morte a caso.

      Priscilla Morris si ispira alla sua storia famigliare per raccontare di Zora, serba bosniaca, pittrice di una certa fama e insegnante all’accademia delle Belle Arti, che si trova nel giro di poco tempo prigioniera in una città assediata e ben presto ridotta alla fame. Recisi tutti i contatti col mondo fuori, Zora non riesce più a comunicare con i suoi cari: sua figlia vive in Inghilterra; suo marito Franjo l’ha raggiunta insieme alla fragile madre di lei, per proteggerla dalle prime minacciose incursioni dei nazionalisti serbi.

        Musulmani, croati, serbi sono i gruppi che costituiscono la nazionalità bosniaca: non sono etnie diverse ma appartengono allo stesso ceppo slavo. Negli anni Novanta però qualcosa si rompe, la pacifica convivenza viene lacerata dal nazionalismo fanatico che rimane tuttavia incomprensibile alla popolazione civile e agli intellettuali come Zora.

       Il racconto di una città sotto assedio è precisa, devastante, mentre segue il progredire insensato della violenza. La vita quotidiana dapprima sembra soltanto sospesa, ma in breve tempo ogni frammento di normalità viene annullato, sembra ardere nel rogo della Vijećnica, il palazzo simbolo della città, una meraviglia architettonica da cui si innalzano ora nere scaglie di cenere: quel che resta della cultura, del buon senso, della vera, autentica umanità. Una sola domanda : perché?

        E poi: “Nel giro di una settimana, Sarajevo si apre come una piaga.[…] siamo tutti i profughi ormai, passiamo i giorni ad aspettare acqua, pane, aiuti umanitari: mendicanti nella nostra stessa città.”

       Zora non può più insegnare, il suo studio distrutto nell’edificio distrutto, eppure cerca, fino all’ultimo, di continuare a dipingere: la sua specialità sono i ponti, ma quando si guarda intorno vede solo rovine: “Tutto, ovunque, è marrone e buio, fradicio e rovinato”.

      I sopravvissuti si stringono intorno a quel che resta delle loro case, alle poche coperte, al niente di cibo.

      E intanto, senza quasi più contare i giorni, un anno è passato.

     Qui c’è la storia di Zora e non solo. Personaggi che rappresentano un popolo, legami umani che si intrecciano e si spaccano, sentimenti, parole e corpi. Qui c’è una città, Sarajevo, che è impossibile non vedere e non amare.

     Qui c’è una letteratura che ci restituisce la vita nella sua nuda, essenziale e complessa verità.

Priscilla Morris. Le farfalle di Sarajevo. Neri Pozza.

 

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