21 novembre 2009
Alla tavola di Mariù e Zvanì" di Laura Di Simo
di Liliana di Ponte
Un Giovanni Pascoli in versione più intima e domestica emerge da un libro fresco di stampa, Alla tavola di Mariù e Zvanì. I cibi pascoliani, di Laura Di Simo, che si presenta come una gradevolissima incursione nel mondo raccolto, ma non per questo chiuso, del poeta, negli anni di Castelvecchio di Barga, dove si ritirò a vivere con la sorella Mariù nel 1895, per rimanervi fino alla fine.
Di Giovanni Pascoli è nota la passione per la buona tavola, che per lui era tutt’uno con l’amore per la campagna, per i sapori semplici dell’orto, per i cibi genuini, che gli ricordavano le sue origini e l’infanzia.
Ma uno dei pregi di quest’opera è nell’amalgama, fatta con mano leggera e competenza (come sanno i veri cuochi), tra le diverse anime che in Pascoli convivevano: il letterato colto e raffinato, la persona riservata che sapeva però coltivare lunghe e fedeli amicizie, l’amante della natura, cantata in tanti versi.
Una vita un po’ appartata nella bella casa (ora Casa/Museo) che chiamava “la bicocca”, da cui Pascoli usciva però volentieri, non per incontri mondani ma per mescolarsi con la gente semplice del luogo, per mangiare nella locale osteria “Zì Meo” o per frequentare gli amici lucchesi, con cui s’incontrava al Caffè “Carluccio” in via Fillungo, ritrovo di intellettuali e artisti, di proprietà di Alfredo Caselli. L’amicizia con quest’ultimo fu duratura, coltivata anche tramite un fitto epistolario, in cui spesso si parlava di vino buono, di biscotti e caramelle (Caselli era artista e droghiere), delle pietanze cucinate da Mariù.
Un altro caro amico fu Gabriele Briganti, direttore della Biblioteca Governativa di Lucca, anche lui frequentatore del Caffè Caselli e di molti incontri conviviali, per il quale scrisse una delle più belle liriche, “Il gelsomino notturno”, come imeneo per le sue nozze.
Il cibo, dunque, è una presenza discreta ma costante sia nella quotidianità del poeta che nella sua produzione letteraria, tanto che dai suoi versi spesso si possono ricavare vere e proprie ricette.
Al riguardo, Laura Di Simo rileva, da un’analisi più approfondita dei testi, uno stretto legame tra il gusto della cucina e la ricerca linguistica. Pascoli infatti adotta con naturalezza, nei suoi scritti, i vocaboli contadini – cruschello, cavolo cappuccio, buzzo, gallinelle – e gli attrezzi domestici – stacci, testi, coli, testi, laveggi – di uso comune in cucina. Di conseguenza, dice Di Simo, “Risulta evidente quindi che sia i piatti tipici che gli attrezzi, testimonianze della civiltà contadina di fine ottocento rientrano a pieno titolo in quella poetica delle piccole cose che percorre l’intera produzione pascoliana”.
A conferma di questo intreccio, nel libro compaiono sia le liriche e i testi in cui il poeta parla di pietanze e di prodotti dell’orto, sia vere e proprie ricette dei piatti della tradizione locale, in uso tuttora, ricavate dalle sue stesse pagine o tratte da manuali di cucina, di alto profilo come l’Artusi, o di impianto più domestico.
Alcune immagini d’epoca dei personaggi e dei luoghi citati completano l’opera, che si offre dunque come una bella passeggiata (non a caso è inserita nella collana Appunti di viaggio) tra temi letterari, poesie, ambienti rurali e cittadini, curiosità storiche e, non da ultimo, ricette da mettere subito in pratica, magari per evocare, in casa propria, un po’ di atmosfera pascoliana.
Laura Di Simo, Alla tavola di Mariù e Zvanì. I cibi pascoliani, Lucca, Pacini Fazzi, 2009, pp. 79, € 7,00.
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