11 novembre 2009
"Igor Stravinskij dall’Uccello di fuoco all’Histoire du soldat"
di Luciano Luciani
Pietroburgo, 1908: Sergej Diaghilev, collezionista d’arte e organizzatore di concerti di risonanza europea, ha modo di ascoltare le composizioni di un allievo di Rimskij-Korsakov, autorevole interprete musicale dell’anima profonda del popolo russo. Il giovane musicista, appena ventisettenne, si chiama Igor Stravinskij e impressiona a tal punto Diaghilev che gli commissiona un lavoro di grande impegno e a cui tiene molto: la partitura dell’Uccello di fuoco.
Due anni più tardi, nel 1910, la compagnia dei Balletti russi lo rappresenterà a Parigi, ottenendo un successo tale che il nome di Stravinskij diventa immediatamente celebre in Francia e in Europa. Raramente nella storia della musica del nostro tempo, un capolavoro tanto compiuto, tanto perfetto era nato dalla fantasia creatrice di un autore così giovane.
Nell’Uccello di fuoco, musica danza, libretto e scenografia si fondono in maniera esemplare in un racconto coreografico che è uno “spettacolo totale”, merito tanto di Stravinskij quanto di Diaghilev che riuscirono a trasmettere ad un pubblico ampio, assai più largo dei soliti addetti ai lavori, le forme d’arte più avanzate del loro tempo.
Dietro questa straordinaria rappresentazione e il suo successo, anche popolare, ci sono tutte le trasformazioni intervenute da almeno mezzo secolo nella società, nella cultura, nella mentalità dell’uomo europeo. Sono quelli gli anni formidabili e contraddittori della cosiddetta “belle epoque”: se progressi tecnici impensabili fino a pochi anni prima (il telegrafo senza fili, l’automobile, l’aereo, il cinema…) stanno avvicinando gli uomini, le sempre più acute tensioni politico/diplomatiche mettono i popoli gli uni contro gli altri armati, fino a sfociare nell’immane macello della Grande Guerra; se eccezionali progressi scientifici sembrano offrire a vaste masse la speranza di una vita più degna, le ingiustizie sociali, mai così diffuse e percepite come tali, con il loro corollario di scioperi, violenze, rivolte, rendono fragile, incero, precario il senso dell’esistenza.
Tradizione e novità, conservazione e avanguardia si scontrano con inusitata durezza in tutti i campi dello scibile e dell’esperienza umana: dalla politica alla letteratura, dalle arti figurative alla musica.
In questa fase della propria vita artistica Stravinskij – un piccolo musicista russo triste, freddo, diligente che affascinava il mondo musicale, “un giovane selvaggio che porta cravatte chiassose, bacia la mano alle signore pestando loro i piedi (Debussy) – si muove sulla lunghezza d’onda della novità e dell’avanguardia che avevano fatto di Parigi, la capitale culturale del pianeta.
Dopo L’uccello di fuoco, i balletti Petrouschka, Parigi, 1911 e ancor più La sagra della primavera, Parigi, 1913 sottolineano lo “scandalo” costituito allora dalla musica di Stravinskij, che, continuando a mantenere legami forti con l’esperienza etnica propria del folklore musicale russo si apriva decisamente alle novità: il ritmo scatenato e l’incisività della frase musicale si intrecciano con i blocchi sonori ripetuti in maniera ossessiva; la violenza politonale, ovvero l’impiego simultaneo o di melodie o di armonie che appartengono a tonalità diverse, e lo spiegamento dei mezzi orchestrali colpirono quasi brutalmente pubblico e critica, francesi ed europei e sancirono la fama e il successo internazionale del compositore russo.
Una musica rivoluzionaria, la sua. Pochi anni più tardi, nel 1918, con l’Histoire du soldat, su testo dello scrittore Charles-Ferdinand Ramuz, ancora una provocazione. Abbandonata la grande orchestra, ridotto all’essenziale l’organico strumentale, ai caratteri propri dell’esperienza maturata fino a quel momento Stravinskij aggiunge un’ulteriore sfida: la contaminazione con la musica da cabaret; col tango, appena arrivato in Europa dall’Argentina e considerato un ballo equivoco e immorale; col ragtime, musica popolare pianistica, anello di congiunzione tra canti popolari e blues da una parte e jazz dall’altra, allora ancora per molti “musica da negri” e quindi inferiore e primitiva; con l’operetta, nei cui confronti non pochi critici conservatori storcevano il naso considerandola nient’altro che musica triviale.
Rappresentata a Losanna pochi mesi dopo la fine della prima guerra mondiale e mentre sulla coscienza europea pesa ancora quel terribile carico di lutti e distruzioni, l’Histoire du soldat, fin dalla sua ispirazione, ribadisce i diritti della fantasia e dell’immaginazione sulla desolazione indotta dal più terribile conflitto di tutti i tempi.
“La musica” scrive Stravinskij mi si è qualche volta presentata in sogno (…) Fu durante la composizione dell’Histoire du soldat, e fui sorpreso e felice del risultato. Non solo la musica mi apparve, ma anche la persona che la suonava era presente nel sogno. Una giovane zingara seduta sul ciglio della strada. Aveva in grembo un bambino e per intrattenerlo suonava il violino (…). Il bambino era molto entusiasta di quella musica e l’applaudiva con le manine”.
Riaffermazione dei diritti del sogno e della fantasia come spazio assolutamente umano in quest’opera, ma non certo speranze in una liberazione definitiva: nella storia fiabesca di un soldato che, tornando dalla guerra in un luogo sconosciuto e in tempo indefinito, scambia col diavolo il suo vecchio, malandato e amatissimo violino per un libro magico e onnipotente che non gli darà la felicità ma lo condurrà alla rovina, precipitandolo nel regno delle tenebre, c’è già il presagio delle tragedie a venire, ancor più immense e terribili di quelle appena trascorse.
Forse mai, come nell’Histoire du soldat, Stravinskij è riuscito a rivelare la sua urgenza poetica con tanta sapienza e lucidità: infatti, se l’uso di materiali contaminati (ragtime, tango, marcia, valzer…) e la tecnica della parodia anticipano di almeno un secolo quella che sarà la cifra evolutiva non solo della musica ma di tutti i linguaggi di comunicazione, le sue esigenze esistenziali lo collocano, insieme a tutti noi, sul fragile balcone del nostro XXI secolo.