11 novembre 2009

"La prima “Miss” veniva da Trastevere" di Luciano Luciani




Calda l’estate romana del 1911 e non solo per motivi metereologici. Le manifestazioni per il cinquantenario dell’unità d’Italia affaticavano non poco i cittadini della capitale: dalla primavera era stato tutto un susseguirsi di visite, cerimonie, celebrazioni discorsi nei quali si vantavano le glorie passate e future dell’Italia unita e di Roma capitale.
Il comitato che sovrintendeva ai festeggiamenti aveva preparato iniziative piuttosto impegnative: una mostra d’arte moderna a Valle Giulia con decine di stand d’arte internazionale e di folklore regionale; l’ apertura del museo del medioevo a Castel Sant’Angelo e quello romano alle Terme di Diocleziano. Il 27 marzo il sovrano Vittorio Emanuele III aveva presieduto una solenne riunione in Campidoglio e il 4 giugno, alla presenza di tutti i sindaci italiani, era stato inaugurato l’Altare della Patria, l’imponente monumento a Vittorio Emanuele II dell’architetto Giuseppe Sacconi che tante polemiche aveva suscitato nel corso della sua lunghissima realizzazione, durata oltre un quarto di secolo. A settembre, sul Gianicolo, si accendeva per la prima volta il Faro, offerto a Roma dagli italiani residenti in Argentina. Il sindaco di Roma, Nathan, il primo ad essere sostenuto da una maggioranza laica e di sinistra, nei suoi discorsi sottolineava ottimisticamente l’avvento dell’”Italia del popolo” e della “terza Roma”. C’era un forte, ribadito richiamo alle idealità mazziniane, ma per lo storico Alberto Caracciolo tutto quel fervore stava a significare “solo la rassegna orgogliosa e forse un po’ pacchiana di un’Italia liberale che sta vivendo gli ultimi tempi del suo progresso e del suo vigore”.

Intanto, sullo sfondo si affrettavano i preparativi per la spedizione di Libia, sostenuta da un forte sforzo propagandistico della stampa favorevole al governo Giolitti che era riuscito anche ad ottenere l’appoggio dei socialisti. L’attenzione dell’opinione pubblica della capitale, però, sembrava essere in altre faccende affaccendata…faccende un po’ frivole, se si vuole, ma capaci di infiammare gli uomini e le donne, i genitori e i figli, i giovani e i meno giovani: come succede spesso per le questioni di costume, quando vengono chiamati in causa il pubblico e il privato, il decoro e la bellezza, le piccole e le grandi vanità e gli interessi di bottega.

Ma cosa era successo per turbare nel profondo le sonnolente, canicolari giornate agostane dei romani?
Robetta, a leggerla con gli occhiali dell’oggi. L’esplosione di una bomba nell’Italietta di novant’anni fa.

Il Sindacato Cronisti aveva indetto il primo concorso per la proclamazione della “Regina di Roma”, invitando tutte le più avvenenti ragazze romane a prendervi parte.
Il risultato più immediato fu che nel giro di nemmeno ventiquattrore un brivido di indignazione e di sdegno percorse la città. Partiva dai settori conservatori della capitale, inorriditi per un simile scandalo, ed arrivava a lambire anche altre, impensate aree politico-culturali.
I parroci furono i primi a schierarsi contro l’iniziativa. Dai pulpiti di tutte le chiese romane si tuonò contro l’iniziativa: alle fedeli venne addirittura vietato di leggere il regolamento del concorso! Poi insorsero le varie associazioni per la tutela della morale e dei buoni costumi delle fanciulle. Anche le femministe dalle colonne del loro “Giornale della donna” non mancarono di scagliarsi contro la manifestazione, pubblicando un violentissimo editoriale dovuto alla penna della direttrice Teresa Salvatori. Problemi pure a sinistra: l’Unione socialista romana e i repubblicani proibirono ai propri iscritti, pena l’espulsione, di partecipare al concorso sia in veste di giurati, sia come componenti del comitato d’onore: anzi, li impegnarono ad impedire la partecipazione delle loro congiunte in qualità di concorrenti.. I consiglieri comunali socialisti e repubblicani, che in un primo tempo avevano aderito in blocco all’iniziativa si divisero in due gruppi: quelli che continuarono ad esprimere un giudizio favorevole e quanti, per disciplina di partito, divennero contrari. Paglierini, Susi, il socialista riformista Romolo Sabatini, il radicale Ettore Ferrari, Campolonghi e molti altri furono costretti a dimettersi. Una vera e propria tempesta politica!
Il comunicato dei socialisti parlava chiaro: “L’Unione socialista romana considera che i socialisti devono tutelare non solo gli interessi economici, ma anche gli interessi morali delle classi popolari. Devono opporsi all’uso di bevande alcoliche ed all’affollamento nelle osterie, all’analfabetismo, all’irascibilità di certi operai i quali maltrattano le proprie mogli, le madri e battono i figli. Agli occhi dei socialisti la proclamazione della “regina di Roma” e delle “principesse dei rioni” è una manifestazione che turba le ragazze concorrenti e desta il sentimento di vanità”.
Non pochi criticarono con asprezza che la fotografia di una donna onesta potesse apparire sulle pagine di un giornale e per tale motivo molte concorrenti subordinarono la propria partecipazione all’ impegno da parte del comitato organizzatore di non pubblicare alcuna fotografia. Molte ragazze che lavoravano negli uffici, nei negozi, nelle fabbriche temettero che la loro adesione al concorso potesse costare loro il posto e non vollero accettare di prendervi parte. Numerosissimi fidanzati, preoccupati per la tutela della dignità delle future spose, negarono in maniera drastica il loro consenso.

Il primo concorso di bellezza nella storia dell’Italia unita rischiava di fallire appena alle prime battute.
Ma i commercianti romani avevano fiutato l’affare e iniziarono una poderosa controffensiva: capillarmente costituirono in ogni rione un comitato organizzatore e si sforzarono di trovare alleati importanti. Così ai commercianti si unirono ben presto artisti di fama quali Trilussa, Pardo, Sartorio, Ballester, Cozza, Pizzirani, molti deputati e quasi tutto il patriziato romano, cui non pareva vero di schierarsi in favore del concorso dopo che socialisti e repubblicani si erano dichiarati contrari.

Dappertutto si ebbero iniziative pro e contro il concorso di bellezza. Il comitato organizzatore stabilì un premio di trecento lire per ogni Principessa rionale e di altre cinquecento per quelle tra le elette che si fossero sposate entro l’anno. La rivista “Gran Mondo” pubblicò un numero monografico per celebrare l’avvenimento. L’Associazione studenti universitari mise a disposizione la propria sede. Il pittore Attilio Invernizzi mandò da Milano un suo quadro con la promessa di eseguire il ritratto alla più bella. Anche la resistenza alla manifestazione però segnava dei punti in suo favore: nel rione Monti-Esquilino nascevano comitati “antiregina di Roma” e le femministe dal loro giornale continuavano a ribadire che “ le donne debbono provvedere a se stesse col loro lavoro e non col ridicolo fasto di un’effimera regalità”.
Ormai però la macchina organizzativa si era messa in moto e i comitati lavoravano con grande impegno sostenuti da un sempre maggiore consenso popolare. Dai primi giorni di settembre iniziarono le nomine rionali accompagnate, come sempre succede in questi casi, da polemiche e contestazioni.

Il regolamento stabiliva che l’età delle ragazze dovesse essere compresa tra i diciassette e i venticinque anni e, cosa particolarmente interessante, escludeva senza possibilità di appello tutte quelle concorrenti che “potessero impressionare per lo sguardo civettuolo e per il corpo dai movimenti di flessuosità esagerate”.
Elvira Speranzani fu esclusa dal concorso perché di professione canzonettista, mentre Lidia Durante “Principessa” dell’Esquilino fu costretta a dimettersi perché risultò essere nata a Castelgandolfo. Il giorno della premiazione Amalia Gasperelli di Testaccio, appartenente quindi al rione Ripa, appena eletta “Principessa” si dimise perché “figlia del popolo” in ossequio alle disposizioni impartite dal partito repubblicano, cui la famiglia delle bella Amalia apparteneva.

La prima “Principessa” eletta fu Cesira Fanella di Borgo Prati, a cui seguirono Palmira Ceccani, entusiasticamente acclamata a Trastevere al termine di un banchetto di oltre duemila persone, Idia Bastianelli che rappresentava le bellezze femminili del rione Monti, Fernanda Battiferri cui toccò l’onore di difendere il rione Colonna, Italia Bacchetti per Campo Marzio, Giovannina Bucciarelli di Parione, Giulia Benni di Ponte, Giovanna Refiser del rione Regola, Aurelia Repetti di Sant’Eustachio, Ida Bruni di Pigna, Irene Bisonti per Campitelli, Silvia Jechert per il rione Sant’Angelo, Adelina Mercuri, “Principessa” di Trevi... Tra loro si contavano sei casalinghe, cinque sarte, una magazziniera, una supplente postale, una studentessa…

Feste a non finire accompagnarono le nomination: illuminazioni speciali di vetrine e negozi, fuochi d’artificio, concertini, fiaccolate, serate letterarie, saggi ginnici, addobbi di balconi: una grande novità fu rappresentata dagli spettacoli cinematografici.
Sui giornali apparvero timidamente le prime fotografie: i volti sorridenti delle ragazze, la serietà e l’impegno con cui la manifestazione si svolgeva, le personalità che vi avevano aderito, la ricchezza dei premi in palio avevano molto contribuito a diradare le preoccupazioni iniziali e a ridimensionare la severità dei giudizi e dei veti che avevano accompagnato la fase aurorale della manifestazione.

Non mancò, però, la tragedia che offuscò per alcuni giorni quel clima di festa e di entusiasmo collettivi. Bianca Monti, damigella d’onore della “Principessa di Castro Pretorio”, rimproverata duramente dal fratello ufficiale dei bersaglieri si tolse la vita poche ore dopo la sua affermazione perché non sopportava, come scrisse il “Giornale d’Italia” del 14 settembre, “le acerbe censure della famiglia”.
Il lutto non arrestò il corso dei festeggiamenti. Tutte le “Principesse” erano ormai state elette e lo spettacolo doveva andare avanti. Gli “ambasciatori” delle “Principesse”, riuniti al teatro Costanzi avevano ufficializzato le nomine: era tra queste campionesse della bellezza che bisognava individuare una “Regina”, la cui elezione ebbe luogo, in pompa magna, il giorno 20 settembre al termine di un corteo trionfale in cui il cattivo gusto si mescolava ad improprie memorie storiche.
Apriva la sfilata il “Senatore di Roma” che indossava il tradizionale costume color porpora. Lo circondavano tredici “Caporioni cittadini”, vestiti con ricchi abiti secenteschi. Quindi i lancieri che precedevano diciotto berline di gala infiorate in cui prendevano posto le diciotto “Principesse”, ognuna fiancheggiata da due damigelle d’onore. Le scortavano i “Gentiluomini” della loro corte armati di spada e di alabarda e chiudeva il corteo il gruppo dei “Fedeli” in abiti di panno giallo e vermiglio, mantello rosso e tocco. Trombettieri in alta uniforme fiancheggiavano il corteo.
Tutte le concorrenti indossavano una tunica romana per mettere popolane e signore sullo stesso piano.
Furono necessari parecchi giorni per fare lo spoglio delle schede e la proclamazione ufficiale avvenne nel corso di una gran kermesse, che ebbe luogo il 1 ottobre all’albergo Excelsior, dopo la ratifica delle elezioni stesse da parte di una commissione formata dai più noti artisti presenti nella capitale.
“Regina di Roma” venne eletta Palmira Ceccani di Trastevere con 4326 voti, seguita nell’ordine da Cesira Fanella di Borgo Prati con 2398 e Ida Battistelli dei Monti con 2326.

La Ceccani aveva 17 anni e qualche mese dopo, convolando intelligentemente a giuste nozze, vinceva anche il premio di cinquecento lire del Sindacato Cronisti.
Pochi giorni prima, il 27 settembre, il governo italiano aveva inviato un ultimatum alla Turchia, intimandole di cedere la Tripolitania e la Cirenaica. Il 29, senza neppure attendere la risposta, dichiara la guerra. Lo sciopero proclamato dalla Confederazione Generale del Lavoro contro questa involuzione imperialistica della politica italiana, male organizzato, ottenne adesioni significative solo in alcune zone del Paese, minori o nulle in altre: troppo poco per bloccare la macchina bellica.
Anche in questo caso lo spettacolo doveva andare avanti.