La rivoluzione dell’hard boiled novel
Un anno dopo l’altro, un romanzo poliziesco dopo l’altro, il “giallo classico”, quello per intenderci di Van Dine e della Christie, aveva finito per acquisire il sapore un po’ insipido di un piatto magari cucinato correttamente, con tutti gli ingredienti necessari e nella giusta misura, ma sempre troppo uguale a se stesso. Nelle sue pagine “gli uomini si muovono in un mondo che non ha linee e colori, il sangue non sporca, i cadaveri non puzzano, i personaggi si incontrano, si scontrano, parlano (quanto parlano, ahimè, quelli della Christie!) ma non dicono nulla di sé; in un certo senso sono disumani, come disumano è, in un certo senso, un problema di matematica pura. E il detective è un eccentrico proprio perché l’eccentricità fa meno umani” (Petronio).
Società, cinema e letteratura popolare
E’ tempo che finalmente la vita vera irrompa nelle pagine del poliziesco, è il momento della rivoluzione dell’hard boiled novel con le sue trame ricche d’azione e di violenza. Le alimentano quel particolarissimo periodo della storia americana che va sotto il nome di proibizionismo, ovvero una serie di leggi apparse negli anni 1919-1920 che vietano la fabbricazione e il consumo di alcol; la grande crisi economica iniziata nell’ottobre 1929 con il crollo della Borsa di New York e la conseguente depressione; una corruzione dilagante a tutti i livelli della società e il quasi collasso dell’ordine pubblico in intere regioni degli USA. Su questi scenari non è arduo collocare il fenomeno delle gang che caratterizzò per anni la vita americana, influenzando anche il cinema e la letteratura poliziesca. Alla fine degli anni venti, infatti, i giornali erano pieni di notizie di cronaca nera: le imprese di Bonnie e Clyde, Baby Face Nelson, “Ma” Barker e i suoi figli, sono seguite in maniera appassionata da milioni di lettori che nelle vicende criminose di questi banditi di strada sembrano ritrovare i vecchi miti del West, quelli fondativi della nazione americana. E’ invece con Al Capone e Lucky Luciano che si realizza il fenomeno più inquietante dell’intreccio tra malavita, politica ed affari: a questi eroi negativi si contrappongono quelli positivi dei difensori dell’ordine come Elliot Ness e i suoi incorruttibili collaboratori(25). I gangsters diventano i protagonisti di un fortunato filone di film come Le notti di Chicago (1928), Little Cesar di Melvyn LeRoy (1930) e Public Enemy (1931). Non solo il cinema risente di quel particolarissimo clima, anche la letteratura, e in maniera più spiccata la letteratura popolare, i pulps, riviste da pochi soldi stampate su carta di infima qualità, registra e si sforza di interpretare quanto avveniva al centro e alla periferia di quel gigante malato che erano divenuti gli Stati Uniti. Il romanzo poliziesco americano si presenta come l’erede diretto della narrativa “western” o di frontiera: lì la violenza era quella dei pellerossa o della natura; qui è propria della società. Il poliziesco diventa rappresentazione realistica ed allo stesso tempo denuncia di un mondo di gangsters, sfruttatori, spacciatori di alcolici, politici corrotti.
Arriva “Black mask”
Nella seconda metà degli anni venti, grazie a riviste come “Black Mask” e grazie ad autori come Dashiell Hammet, William Riley Burnett e Raymond Chandler era nato e si era sviluppato l’hard boiled novel, un giallo diverso dalla tradizione, realistico, denso di contenuti scottanti, contrassegnato da intrecci movimentati e ricchi di brutalità .
Ecco come il capitano Joseph T. Shaw, fondatore e direttore della leggendaria rivista “Black Mask” descrisse l’origine di una tale scuola:
“Riflettemmo sulla possibilità di creare un nuovo genere di racconti polizieschi diverso da quello in uso dal tempo dei Caldei e più recentemente adottato da Poe, Gaboriau e Conan Doyle, insomma da tutti, ovvero il genere deduttivo, tipo parole crociate o puzzle che, deliberatamente, manca di ogni altro valore emotivo umano. Ovviamente creare un nuovo genere è un lavoro da scrittore molto più che da direttore. Quindi cercammo tra le pagine delle riviste uno scrittore che fosse brillante e originale, e restammo straordinariamente impressionati dalla evidente promessa contenuta nel lavoro di Dashiell Hammet. Non che praticasse un genere diverso da quello sino ad allora imperante ma i suoi racconti erano scritti con un’insolita specie di necessità ed autenticità. Così ci mettemmo in contatto con lui. Rispose immediatamente ed entusiasticamente…”.
Il risultato sono dei romanzi che mantengono i caratteri essenziali del poliziesco: rispetto alla tradizione c’è sempre un crimine, un’indagine, lo scioglimento dell’enigma. Ma l’indagine è scandita da altri delitti, circola una cupa atmosfera di violenza, di morte, di degrado: insomma, nel gene originario del romanzo poliziesco è inscritto un programma diverso, si fanno strada nuove convinzioni ideologiche e di poetica. Todorov chiama “nero” il poliziesco americano: in esso in genere non c’è la ricostruzione di un fatto passato, la prima storia, quella invisibile, quella del delitto o non esiste proprio o è secondaria. Diventa invece centrale la seconda, quella dell’indagine e si svolge dal principio alla fine sotto gli occhi del lettore: lo stesso detective vi è coinvolto e rischia la propria vita, mentre, come già si è detto, nella detective-story l’investigatore usufruisce della più piena immunità.
Dashiell Hammet, il papà di Sam Spade
A Dashiell Hammet (1894 - 1961) dobbiamo alcuni romanzi fondamentali del poliziesco americano realistico, la cosiddetta “scuola dei duri”: Piombo e sangue; Il bacio della violenza; Il falcone maltese, 1930; La chiave di vetro, 1931. La sua lezione è centrale per lo sviluppo del genere: non c’è tipo, non esiste un personaggio che abbiamo incontrato o che incontriamo ancora nella letteratura gialla o nei film sulla malavita americana che non abbia una stretta parentela con qualche carattere inventato da Hammet. Ex agente della Pinkerton, una famosa agenzia investigativa di allora, Hammet supera i confini del genere per lo stile essenziale e prosciugato e per la sua aderenza alla lingua parlata: elementi che affascinarono grandi scrittori come Andrè Gide, che nel suo diario, il 16 maggio 1943 rende omaggio all’arte del dialogo di questo scrittore e Ernest Hemingway.
Nel Falcone maltese compare il personaggio più popolare creato da Hammet, Sam Spade (magistralmente portato sullo schermo da Humphrey Bogart), un investigatore senza qualità, un uomo qualunque, uno come tanti che fa l’investigatore per sbarcare il lunario. Però è tenace e mosso da un’ostinata volontà di raggiungere la verità: “anche loro”, scrive giustamente Carlo Oliva nel suo saggio Storia sociale del giallo, “in sostanza, sono delle figure eccezionali, degli uomini che ottengono da soli risultati che gli altri, in particolare se appartenenti alle forze dell’ordine organizzato, non riescono neanche ad intravedere, ma la loro diversità non si fonda tanto su una maggiore acutezza mentale, su un più raffinato esercizio dell’intelligenza, quanto su una maggiore forza di volontà, un surplus di determinazione. E’ una superiorità, la loro, di natura eminentemente morale, il che ben si concilia con la tradizione puritana, tanto importante in America e con il culto tutto americano dell’individualista volitivo”.
Scrittore e comunista
Samuel Dashiell Hammet (Maryland 1894 – New York 1961) per le precarie condizioni economiche della famiglia lascia la scuola 13 anni. Entra come investigatore nella famosa Agenzia Pinkerton, un’ attività che fornirà lo spunto a molte sue opere. Partecipa alla prima guerra mondiale come autista di ambulanze, ma si ammala di tubercolosi. Il suo primo racconto, The road home, è pubblicato sulla rivista “Black Mask” nel 1922. Fino al 1929 la sua ispirazione ruota attorno al personaggio di Continental Op, protagonista di 28 racconti e due romanzi, sostituito, a partire dal 1929, da Sam Spade, destinato a diventare uno dei personaggi più celebri della narrativa poliziesca americana. Nel 1931 ha inizio la sua relazione trentennale con la scrittrice Lilian Hellman. Nel 1934 scrive il suo quinto e ultimo romanzo, poi si dedica al cinema e all’impegno politico: nel 1937 si iscrive al partito comunista americano. Nel 1942 è di nuovo sotto le armi: come sergente è inviato nelle isole Aleutine, dove cura la pubblicazione di un giornale dell’esercito. Rientrato in patria, vede aggravarsi la sua malattia ai polmoni e nel clima forsennatamente anticomunista degli anni della “guerra fredda” comincia a essere perseguitato per le sue idee politiche. Per il rifiuto di denunciare i nomi dei suoi compagni di fede politica viene condannato a sei mesi di prigione. Il suo nome finisce sulle “liste nere” del Comitato per le Attività Antiamericane: perde il lavoro e vede confiscato ogni suo bene. Muore povero nel 1961, in un ospedale di New York. Come veterano di due guerre mondiali è sepolto nel cimitero nazionale di Arlington.
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