20 dicembre 2011

"Emilio Salgari" di Luciano Luciani

Luci e ombre del papà di Sandokan!


Gaetano Salvemini non poteva sopportare Emilio Salgari: sosteneva, infatti, che la generazione del fascismo avesse ricavato dai suoi libri l’idea dell’azione esaltata per se stessa, la celebrazione dell’ardimento, il gusto per il pericolo, l’esaltazione della forza fisica e della violenza…

Giudizi, insieme, veri e sbagliati: sì, il fascismo, come fece per tanti altri autori, tentò di appropriarsi anche di Salgari e dei suoi personaggi, ma lo scrittore, ovviamente, non c’entrava nulla. Più suggestiva, invece, lettura di un Salgari antimperialista e paladino della libertà dei popoli, compiuta da alcuni scrittore latino - americani come il cileno Luis Sepulveda o il messicano Paco Ignazio Taibo II.

Non dimentichiamoci, poi, di quello che scriveva il cubano Ernesto Che Guevara alla figlia Hilda, a cui, da bambina, leggeva le avventure di Sandokan:

Salgari è stato il mio amore alla tua età. Diventerà anche il tuo.”

È, forse, troppo azzardato individuare una linea ideale di continuità tra Garibaldi e Guevara attraverso il trait-d’union, rappresentato dai romanzi di Salgari?

Il giudizio che vede nel romanziere veronese un anticipatore della causa dell’emancipazione dei popoli viene oggi avvalorato dalla recente pubblicazione di alcuni articoli di politica estera scritti dal romanziere agli inizi della sua carriera. Firmando con uno pseudonimo sul giornale “La nuova Arena” di Verona, Salgari si schierava nettamente dalla parte dei popoli oppressi, a favore dell’indipendenza delle popolazioni balcaniche, a fianco dei moti polacchi e albanesi contro gli imperi russo e turco.

È stato uno studioso dei moderni processi di comunicazione, Omar Calabrese, a cogliere nelle figure e nelle avventure di Sandokan e del Corsaro Nero la reincarnazione dello spirito dell’Eroe dei due mondi: l’Italia, al tempo di Salgari, unita solo da pochi anni vibrava ancora delle memorie patriottiche, risorgimentali, garibaldine. L’epopea del combattente in camicia rossa, soprattutto il Garibaldi marinaio e guerrigliero che aveva entusiasmato l’Europa democratica, l’opinione pubblica inglese e nordamericana e romanzieri come Dumas, affascinava i giovani delle prime generazioni dell’Italia unita che continuavano a guardare al Magnanimo Guerrigliero come a un modello di umanità alta, eroica, disinteressata. Dietro il Corsaro Nero e la Tigre della Malesia vi sono molti tratti della percezione che gli italiani post - unitari avevano di Garibaldi: cioè, del maggiore esponente di quello spirito risorgimentale – romantico che aveva agito potentemente nel costruire l’unità e l’indipendenza, ma che appariva ormai depresso e avvilito nella mediocrità borghese dell’ Italietta umbertina e che era destinato a rivivere e sopravvivere solo nel sogno, nel rimpianto e nel mito.

Raccontato, peraltro, piuttosto male…

E qui si apre un’altra vexata quaestio: Salgari scriveva davvero così male?

Certo, nessuno può negare che sia stato uno scrittore con grandi debolezze letterarie, una specie di incontenibile prolissità narrativa… Probabilmente veniva pagato un tanto a riga, quindi cercava di allungare le trame eccedendo nei dialoghi, spesso lunghi e talora superflui, allo scopo di aumentare le pagine e quindi i proventi.

Si notano, poi, non poche debolezze nelle descrizioni degli ambienti e anche un approccio superficiale nel trattare psicologicamente i personaggi, soprattutto quelli secondari.

Ma se questi sono i suoi difetti, le virtù sono senz’altro maggiori. Tra le altre, l’abilità nel creare protagonisti indimenticabili; una capacità di inventare sviluppi narrativi, avventure, peripezie poche volte vista nella storia della nostra letteratura; una perizia fuori dal comune nel saper costruire la continuità di una tensione drammatica senza pause. Insomma, Salgari è un grande narratore, e ai suoi affezionati Lettori non importa nulla che non sia considerato uno scrittore. Il narratore appartiene a un’altra razza; è molto più raro, può permettersi anche di scrivere male. È molto più difficile raccontare che scrivere. A scrivere, in fondo, siamo tutti più o meno capaci, a raccontare no.

E poi, Salgari è stato uno scrittore fondamentale nella formazione della personalità e dell’etica di generazioni di giovani italiani: la ricerca e la difesa di una causa giusta, il valore del coraggio, il culto dell’amicizia e della fedeltà nell’amicizia… Lo straordinario sentimento che unisce Sandokan a Yanez è stata la migliore lezione di antirazzismo ricevuta da generazioni e generazioni di adolescenti. Quindi, il romanziere è stato, soprattutto, un grande formatore di esseri umani. Perché lavorava con i valori universali della letteratura, i valori classici: il bene e il male, il coraggio e l’avventura, l’amicizia e l’amore, la bellezza e la passione per l’impresa…

Ci piacerebbe che prima della fine di questo 2011, centesimo anniversario della tragica fine del narratore più amato dagli italiani (almeno quelli del secolo scorso), qualche scuola, qualche professore di lettere, qualche libreria intraprendente, qualche istituzione culturale ne ricordasse, agli studenti e ai Lettori, la prodigiosa fantasia creatrice, la capacità di inventare storie sempre ‘moralmente’ orientate, la modesta grandezza letteraria.



1 commento:

Anonimo ha detto...

Recensione molot bella e dettagliata!
Complimeti a chi l'ha fatta!!!
ciaoooo
p.s.NONiscrivetevi a facebook vi rovina la VITA!!