16 dicembre 2011

“Solo Bontà” di Jhumpa Lahiri

di Gianni Quilici


Questo racconto lungo o romanzo breve ha il pregio di essere una narrazione piana di una nevrosi nascosta, la dipendenza alcolica, e forse di un'altra più imprevedibile, perché nascosta nelle pieghe della vita quotidiana.

Protagonisti due giovani bengalesi, fratello e sorella, emigrati in America. Lui, da piccolo, appare predestinato: bello, intelligente, adorato; lei sembra destinata a rimanere nell'ombra: buona e brava, ma senza eccellenze. Non sarà così, o almeno così sembra che non sia.

Lui sarà infatti espulso dalla Università, vivrà isolato, rifugiato nella sua camera sulle spalle dei genitori; fuggirà, scomparirà per riapparire presso la sorella (apparentemente) mutato. La ragione: l'alcool.

La sorella nel frattempo, invece, farà ottimi studi, avrà un buon lavoro, sposerà un inglese colto, affettuoso, disponibile ed ora ha un bel figlio che sta crescendo.

Cosa manca a questo racconto?

L'approfondimento. Perché lui è dipendente? Quali angosce, difficoltà, inquietudini ha incontrato nel suo corso esistenziale?

Il protagonista è visto quasi sempre dagli occhi della sorella, che dapprima lo adora, poi è preoccupata, cerca di parlarci, ma mai riesce ad inoltrarsi nel suo vissuto e noi con lei.

Ma questa è forse una scelta di Jhumpa Lahiri. E' la sorella l'oggetto principale della sua attenzione. Ed è alla sorella che dedica il momento più intimo e poetico del racconto, quello rivelatore di una nevrosi, più banale, poco evidente, molto più gestibile, forse.

Il fratello se ne sta andando con il taxi, quasi da lei cacciato...Lo vede dalla tenda della finestra, mentre si lascia scivolare sul sedile posteriore e poi rimane a fissare la luce grigia del mattino, mentre l'auto si allontana. Ritorna in cucina, apre un armadietto, scalda il latte, taglia il filo del palloncino legato al seggiolino del figlio e pensa “al marito che non si fidava più di lei, al figlio il cui pianto proprio in quel momento la interruppe, alla famiglia che quel mattino aveva rotto il guscio come un pulcino, tipica e terribile quanto qualsiasi altra”.

Un finale poetico, asciutto, con un sentimento doloroso che risuona come un orizzonte grigio, senza speranze. Troppo poco, però. Ci sarebbe stato un altro racconto da scrivere, ben più profondo: quello sul fratello.


Jhumpa Lahiri. Solo bontà. Traduzione di Federica Oddera. Il Sole 24 ore.

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