recensione di Emilio Michelotti
L’analisi del rapporto fra politica e redenzione nelle società antiche dà modo a Jan Assmann (Potere e salvezza – Einaudi, 2002) di delineare un percorso che, per cenni e suggestioni, giunge, attraverso il cristianesimo, l’assolutismo e gli universali della modernità, fino a noi.
Poststrutturalismo e poststoricismo, estenuati dall’abbraccio del XXI secolo, generano, attorno all’idea di una contemporaneità culturale fra epoche anche lontanissime, figure emblematiche di studiosi, come Assmann in Germania e Carlo Ginzburg in Italia.
Le due tesi di fondo, innovative e sorprendenti, del volume, hanno implicazione neoaristotelica l’una – sarebbe la politica a fondare il bisogno di soprannaturale, “inventando” la religione, e non semplicemente usandola, come nella tradizione marxista - , antiplatonica e antikantiana l’altra – ogni sistema cultuale possiederebbe un segreto nucleo ateistico, ossia non troverebbe riscontro in verità esterne a noi (e neppure inscritte dentro di noi) ma in contingenze storiche impostesi come necessità.
Negli antichi culti indagati – egizio, mosaico, delfico-eleusino, ecc. – la duplex religio emerge infatti non come una costante universale ma come la costante ossimorica di una politica volta all’ ‘identico rinnovamento’, che si fa forte dell’ ‘accomodatio dei’ perché una religione di per sé sconvolgente e pericolosa (“immotivabile”, secondo Maimonide) possa divenire socialmente utile e produrre solidarietà, introducendo ricompense e punizioni.
Come i testi di Freud sull’età del bronzo, da Assmann ampiamente citati, come il suo recupero del mito arcaico, anche questo, che va inteso come una narrazione storico-letteraria, tende più a decodificare il nostro tempo che quello antico, introducendo forti elementi psicoanalitici nell’indagine storica.
Jan Assman. Potere e salvezza. Einaudi 2002