
di Gianni Quilici
Ciò che affascina in questo breve romanzo di questa giovane giapponese Ogawa Yoko (Okayama 1962) sono due elementi in apparente contrasto tra loro: da una parte c'è una scrittura lineare, essenziale e tradizionale in una storia che può apparire anche dimessa, perché resa al massimo grado naturale e, seppure strana, verosimile; dall'altra invece questa stessa storia si fa sempre più enigmatica ed inquietante fino a sfiorare immaginativamente, senza però mai rappresentarlo, l'horror, e, ciò che più conta, a prefigurare una metafora aperta a diverse letture (cioè ambigua) della società contemporanea e nipponica innanzitutto.
Ogawa Yoko tratteggia benissimo la protagonista: una giovane ragazza, timida e sottomessa, che ha subito una piccola amputazione all’anulare e che si trova segretaria di un laboratorio alquanto strano; invece il signor Deshimaru, proprietario del laboratorio rimane, enigmatico e inquietante, nell'ombra: forse mostruoso orchestratore, forse dotato di potere ipnotico. Il laboratorio, un palazzo fatiscente, carico di ricordi e di stanze, è lo scenario in cui il signor Deshimaru trasforma oggetti normali della vita quotidiana, che persone normali portano al laboratorio, in “esemplari” simili, simboli a testimonianza imperitura.
Un romanzo che ci trascina dentro un'atmosfera allucinata e folle nel modo più efficace: lasciandoci alla soglia e facendoci soltanto immaginare...
Immaginare non soltanto “cose orripilanti”, ma ciò che noi siamo o ciò che possiamo diventare: strumenti in mano a “qualcuno”, che può soggiogarci e da cui desideriamo essere soggiogati. Qui ci si potrebbe “perdere” in un reticolato di discorsi sociologici...
Ogawa Yoko. L’anulare. Traduzione di Cristiana Ceci. Pag. 103. Adelphi, Milano 2007. € 9.