22 dicembre 2008

Il pianoforte come solista

di Nicola Amalfitano

In epoca preromantica, il clavicembalo perde gradatamente importanza come strumento solista, dal 1750, poi, viene definitivamente soppiantato dal pianoforte che realizza i nuovi ideali stilistici di valorizzazione dell'intensità e della cantabilità dei suoni.

Dal punto di vista tecnico, in quanto strumento a corde percosse, il clavicordo, piuttosto che il clavicembalo, è l'antenato del pianoforte; tra i costruttori si sperimentano innovazioni per adeguare il clavicembalo alle nuove esigenze dei compositori e, infine, Bartolomeo Cristofori, ai primi del '700, inventa il "gravicembalo col piano e forte". Si tratta di un clavicembalo opportunamente modificato nella tavola armonica e nella tastiera, le corde non vengono pizzicate, ma sono colpite da appositi martelletti in modo da adeguare l'intensità sonora in funzione della forza applicata. La strada è ormai segnata e il pianoforte, in breve tempo, assume forma e struttura ben definite, pressoché simili a quelle attuali. Nel corso degli anni si apportano migliorie per irrobustirne la struttura e rendere più efficiente la cassa armonica, le corde aumentano di spessore e di lunghezza; risultano essenziali le modifiche introdotte verso il 1780 da Silbermann e da Andreas Stein, suo allievo.

Intorno al 1750 non esiste ancora una scrittura specifica per pianoforte, i compositori si limitano a trascrizioni di brani originariamente scritti per clavicembalo; i due figli di Bach, Johann Christian e Carl Philipp Emanuel, rappresentano una prima fase tendente al rinnovamento, ma le loro partiture ancora risentono dello stile galante.
Haydn e ancor di più Mozart, riservano una maggiore attenzione virtuosistica al nuovo strumento.
Muzio Clementi è, finalmente, il primo compositore a dare una connotazione propria alla scrittura per pianoforte; il suo stile ricco di sonorità, dinamismo, contrasti, segna il passaggio dall'età di Haydn e Mozart a quella di Beethoven; significativa è l'opera "Gradus ad Parnassum".
Con Beethoven, il pianoforte acquista una dimensione "orchestrale". Come nelle sinfonie, Beethoven cerca nel pianoforte sonorità altrimenti impensabili nel clavicembalo, va alla ricerca di nuove e poderose forme espressive, le scale, gli arpeggi, gli accordi a volte lasciati in sospeso, non sono virtuosismo di moda, ma esprimono tensioni e sentimenti di un animo che cerca nella musica la sua liberazione.
Il romanticismo rappresenta il periodo d'oro per il pianoforte: i compositori sperimentano nuove espressioni, vanno alla ricerca di sonorità sempre più raffinate, si cimentano in ardui virtuosismi, caratteristica di questo periodo è la figura del virtuoso, interprete e compositore, come Chopin e Liszt.
L'impressionismo pone fine alla figura del virtuoso e porta alla ribalta musicisti tra i quali spicca Debussy: il pianoforte è come un pennello, con tratti brevi, fuggitivi, quasi indefiniti, si trasmettono all’ascoltatore impressioni, emozioni, sensazioni legate alla natura.
Sul finire dell'ottocento, nel mentre si riduce l'interesse dei compositori, il pianoforte solista trova nuove affermazioni nelle nascenti espressioni musicali del ragtime, del blues, del jazz.