di Nicola Amalfitano
L'opera buffa vede le sue origini in Italia, con Napoli e Venezia fra i maggiori centri di sviluppo; grazie all'introduzione di significative innovazioni quali il canto simultaneo di vari personaggi, la valorizzazione dei diversi ruoli vocali, il dinamismo del discorso musicale, svolge in tutta Europa un ruolo importante nel processo di evoluzione del teatro d'opera.
I primi tratti dell'opera buffa, detta anche commedia per musica, si manifestano agli inizi del 1700 quando, tra un atto e l'altro del melodramma, si intrattiene il pubblico con "intermezzi", ovvero brevi spettacoli a soggetto popolare accompagnati da musica allegra.
Dapprima sono brevi dialoghi con spunti comici, a volte grotteschi, che coinvolgono il pubblico borghese in quanto propongono i semplici modelli della vita quotidiana; presto, però, gli intermezzi si strutturano in genere teatrale a se stante. A differenza dell'opera seria che adotta stereotipi aristocratici e mette in mostra il potere e la ricchezza, l'opera buffa porta sulla scena personaggi che il pubblico ben conosce perché fanno parte della sua realtà quotidiana. I cantanti non impersonificano eroi mitologici o cavalieri di corte, bensì raffigurano persone vere, tratteggiate nel loro usuale modo di vivere. Si evidenziano le caratteristiche e gli aspetti tipici delle figure messe in scena e le forme musicali, vivaci, briose, tengono ben desta l'attenzione del pubblico. I personaggi sono oggetto di enfasi ironica ed i singoli ruoli vocali vengono calzati sulla tipicità del personaggio per rappresentarlo nel modo più comico possibile; ecco, quindi, apparire sulla scena il servo imbroglione, il vecchio avaro, la servetta che vuole spadroneggiare, il maestro di musica intrigante. Alla struttura fastosa e imponente dell'opera seria, la "commedia per musica" contrappone forme e strutture snelle e vivaci, orchestrazione ridotta, contrasto tra le voci e l'uso predominante del recitativo sulle arie.
Tra le prime espressioni dell'opera buffa è da menzionare assolutamente "La serva padrona" di Giovanni Battista Pergolesi; ancora sono da ricordare Niccolò Piccinni con "La Cecchina" su libretto di Carlo Goldoni, Giovanni Paisiello con "Nina ossia La pazza per amore" e Domenico Cimarosa con "Il matrimonio segreto". Sul finire del 1700, l'opera buffa attenua le sue caratteristiche di comicità con l'inserimento di momenti di malinconia e di lirismo; nel 1780 si parla ormai di melodramma giocoso e a questa tipologia possiamo riferire "Le Nozze di Figaro" e il "Don Giovanni" del grande Mozart. Con "L'elisir d'amore" del 1832 di Gaetano Donizetti, possiamo considerare ormai definitivamente chiusa l'esperienza dell'opera buffa; Gioacchino Rossini, con "L’italiana ad Algeri", "Il barbiere di Siviglia" e "La Cenerentola", costituisce il trait-d'union tra l'opera buffa e il melodramma ottocentesco.