Dalla pubblica autoflagellazione alla custodia in teca dell’istinto trasgressivo, dall’esibizione oscena di una sessualità mortifera alla pacificazione col proprio daimon.
Walter Siti, non è inutile ricordarlo, è lo scrittore che suggerì la connessione sottile fra una notte d’orgia vissuta personalmente e la strage di Bologna, fra una vita senza regole e una società senza etica. La sua non era, in fondo, che l’estrema deriva di una “disperata vitalità”- con l’accento ormai posto sull’aggettivo -, mutuata dall’ultimo Pasolini, quello, per intenderci, della rivisitazione dell’inferno dantesco e, soprattutto, di Petrolio.
Folgorati da una metamorfosi mefistotelica ci si può così, in vecchiaia, scoprire “parte di una forza” costretta a “volere sempre il male” ma ad “operare sempre il bene”. I Sette Emirati sono la via di damasco ideale per questa conversione: Dubai dal caos nutriente, assurda, demenziale nel suo sfarzo alla Disneyland, città digitale programmata da pazzi; Abu Dhabi più kitch ancora, torre di Babele di etnie che non si comprendono, magnete che attira gli affari del mondo. Non manca nulla del fenotipo pasoliniano, rintracciabile sotto i monumenti alla Rolex e a Paperino: varie apocalissi culturali hanno lasciato il posto allo sbigottimento, a una gioventù finta, liberata di anima nonché di modelli positivi. Nessuno ha coscienza del risultato finale di quel che sta facendo. Perfino i cammelli sono inselvatichiti. La tradizione è un “rimasuglio puzzolente” e il viaggiatore è facile preda del mito orientale secondo cui tutto si può comprare, tutto è lecito. E inoltre della convinzione che ciò che sopravvive del passato non abbia più niente di pittoresco, ma sia invece riducibile a una pelle che sventola nel nulla, come se una bomba al neutrone l’avesse spazzato via. Prove tecniche di solitudine. Disintossicamento dall’indifferenza. La felicità come depressione vista al contrario. Paesi intagliati nella stessa materia delle nostre paure. Senti che il mondo, per credere di sperimentare la felicità, deve ridursi alla parodia di se stesso.
Egocentrico e maniacale, questo racconto è un’ossessione camuffata da reportage di viaggio. L’abbrutimento, lo scivolare continuo sulla soglia del disumano, va di pari passo con una sempre più marcata ipocondria, e questa con la nostalgia, riscattante, di un amore omoerotico squinternato e fuori controllo, dal quale trabocca però una sublimazione perennemente in agguato, disarmante, castissima, indomabile.
“Chi l’ha detto che la bellezza deve essere armonia, coerenza, originalità? Se fosse vero che è, invece, aumento di vitalità, non potrebbe annidarsi in uno shock disarmonico? Una lingua innovativa, una grande capacità di affabulazione, una narrazione nella quale ti sorprendi a scoprire che fra l’infimo e il sublime non vi sono distanze, ma semmai identità. Che solo gli amori folli, disperati e perversi avvicinino davvero a Dio, come sfacciatamente sostiene Siti?
Walter Siti – Il canto del diavolo,247 pag.Rizzoli 2009. Euro 16.50.