foto gianni quilici |
Interruzione
Mi sono inaridita
come la nostra terra qui
che (quanta pena!)
puoi vedere percorsa
da spaccature grosse irregolari oscure
profonde tanto
che ti pare di infilarci l'occhio
sino al centro del pianeta (denso e fuso)
fessura della terra asciutta!
Dicono che lo spirito
cresca nell'aria sottile
e invece io cerco (sempre)
la più insana umidità
purché ci senta pullulare
il movimento la trasformazione.
Questo terso del cielo
chiaro e uniforme (credimi)
è quaggiù crudele
quando non muta non trapassa
e nel silenzio della notte
puoi sentire le piante
che col respiro fondo e affannato
chiedono un po' di refrigerio
al giorno che segue: ed ogni giorno
che segue si riapre
invece uguale al precedente.
In estrema sintesi la grandezza della poesia di Elisabetta Borghi vive nel connubio tra soggetto e oggetto, tra l'io e la sua Terra. La Terra diventa metafora dell'io poetico, ma anche di un popolo. Una condizione esistenziale, quasi un destino.
Eppure il primo verso, “Mi sono inaridita”, potrebbe far presagire una poesia personale, intima, autobiografica. Non è così. Da subito Elisabetta Borghi s'infila in una lunga similitudine accorata e incalzante nel succedersi di immagini, che allargano a dismisura lo spazio tanto da prefigurare un occhio che arrivi fino al “centro della terra”. Non è, tuttavia, questo uno spazio arioso tra cielo e terra, sono le profondità di essa, le spaccature “grosse, irregolari e oscure” che emergono.
Una poesia in cui le metafore diventano visioni che trasmettono aridità e immobilità, sofferenza e soffocamento. Ci si sentono echi di Antonio Machado nel rapporto doloroso e simbiotico con la Terra e ancora di più del Leopardi sensitivo e disperato (“ quando non muta non trapassa/ e nel silenzio della notte/ puoi sentire le piante/ che col respiro fondo e affannato (...)/.
Non c'è tuttavia nel rapporto col mondo rassegnazione. C'è ricerca, desiderio di movimento, di trasformazione. Così “la più insana umidità” va letta non solo e tanto metereologicamente quanto simbolicamente. Un simbolo indefinito, che può contenere qualsiasi movimento, anche insano, che possa contrastare lo scorrere monotono, sempre uguale del Tempo.
Elisabetta Borghi nasce nel 1958 a Cagliari, dove vive e lavora svolgendo attività di ricerca nell'ambito delle arti figurative e dei beni culturali. Collabora con enti e privati alla realizzazione di manifestazioni, mostre, progetti editoriali, attività didattiche. Scrive storie che non insegnano e non dimostrano nulla, ma che si affidano alla libertà di immaginazione del lettore.