24 novembre 2010

"All’ombra di Narciso" di Beppe Calabretta

di Luciano Luciani


Tutt’altro che epico l’ incipit della seconda avventura investigativa di Bruno Carcade, commissario capo di mezza età in forza alla questura di Lucca. Il nostro eroe, infatti, è preda di una feroce dissenteria ed è costretto a una condizione di vita, a dir poco, umiliante. Ai mali fisici si aggiungono quelli morali perché Bruno non è più sicuro dell’amore della moglie Elina che da settimane, da mesi, lo trascura, preferendogli, da archeologa appassionata e competente qual è, prima una campagna di scavi in Africa, poi un’altra in località sempre più lontane. E, per non farsi mancare nulla, si trova alle prese con un caso dai risvolti misteriosi e inquietanti: due delitti, avvenuti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, commessi ai danni di stimati personaggi della città, facendo, a quanto pare, un uso sapiente e spietato di un mix di farmaci. E, nonostante gli sforzi degli uomini e delle donne della questura di Lucca e del sostituto procuratore Antonio Parrisi, l’intero scenario, compreso il movente, rimane oscuro per ben oltre la metà del romanzo.

Insomma, anche in questa occasione la polizia brancola nel buio.

A questo punto, la regola aurea del romanzo d’investigazione tradizionale, quello che si muove lungo la linea Poe, Conan Doyle, Agata Christie, S.S. van Dine avrebbe voluto che il governo delle indagini e la conseguente soluzione del caso spettasse a un individuo di eccezionale intelligenza, supercolto e piuttosto snob: un Dupin, per intenderci, oppure uno Sherlock Holmes, un Poirot, un Philo Vance… Ma l’Autore di All’ombra di Narciso preferisce ispirarsi a un’altra scuola del poliziesco. Quella meno algida, più intrisa di umanità ed esplicitamente citata da Calabretta: il Maigret di Simenon e il Montalbano di Camilleri. Quindi, tanto lavoro di squadra con i colleghi della questura; olio di gomito e buone gambe (indagini, riscontri, interrogatori, identikit, referti e reperti); alcuni aiuti insperati; un po’ di sana improvvisazione e l’antica nostrana arte di arrangiarsi per aver ragione della penuria dei mezzi. Aggiungici poi un pizzico di fortuna…È l’Italia, bellezza!

Di questo secondo romanzo poliziesco di Beppe Calabretta non va detto altro per non guastare la lettura e l’effetto di una serie di colpi di scena che, alla fine, premiano i buoni, assicurano i cattivi alla giustizia e, faticosamente, ristabiliscono l’ordine turbato dalla trasgressione criminale.

Come accade in ogni romanzo di genere che si rispetti.

Mi preme, però, sottolineare alcuni punti, a mio parere importanti per la comprensione del lavoro, della qualità del lavoro di Beppe: il personaggio di Bruno Carcade, l’eroe indagatore, è notevolmente cresciuto rispetto al primo romanzo Il pescatore di sassi, 2009. Ha, infatti, acquistato non poche sfumature che ne arricchiscono la personalità e l’umanità: ha perduto parecchi spigoli e durezze, si è fatto più problematico, dolente, amareggiato dai continui spettacoli di sofferenza, di strazio a cui, per motivi professionali, è costretto ad assistere e con cui deve continuamente misurarsi. Bruno Carcade è un guerriero, un agonista, è un combattente, ma dal cuore tenero. Lo dimostra, per esempio, nella simpatia solidale e affettuosa con cui riguarda a Xamal, bel personaggio femminile, ben raccontato nella sua condizione di immigrata alla ricerca di pace, lavoro e dignità nel nostro Paese. Oppure, come non notare e non ricordare l’emozione dolorosa con cui il nostro protagonista osserva lo spettacolo degli operai rimasti senza lavoro che manifestano davanti a uno dei tanti Palazzi del Potere? Insomma, il dolore del mondo, soprattutto se figlio dell’ingiustizia, indigna e offende ancora Bruno Carcade, che, dietro una scorza rude, modi bruschi e una generale ruvidezza cela sensibilità, premure, impensate doti di compassione per i più deboli e le vittime. Sensibile, Bruno Carcade e sensuale. Sempre all’erta: tanto nel cogliere la bellezza femminile che gli procura, dice, “un piacere più estetico che erotico”; quanto nell’ apprezzare il buon cibo, oppure le bellezze di un quadro, o l’armonia di un paesaggio. Dati edonistici che permettono di posizionare l’Autore all’interno di quel poliziesco mediterraneo che da Vasquez Montalban arriva a Camilleri, senza trascurare la Barcellona di Alicia Jimenez Bartlett e l’Atene dello scrittore greco Petros Markaris, l’inventore del burbero commissario Charitos.

E scusate se è poco!


Beppe Calabretta, All’ombra di Narciso, Narrativa Bonaccorso, Verona 2010, pp. 162, Euro 13,00