27 marzo 2011

"Il silenzio" poesia di Gianni Quilici

di Davide Pugnana

Vado a Firenze. Sono sul treno. Mi colpisce improvvisamente il silenzio. "Scrivo una riflessione come se fosse una poesia. Una poesia filosofica" penso e sorrido. Mi attira nel pensiero l'essenzialità. Cogliere l'articolazione, ma appena quella necessaria... Da qui...


Il silenzio


Il silenzio è nell'io che si osserva

che oscilla tra sé e il mondo

laddove non ci sia il frastuono


perché per sentire i rumori del mondo

deve ascoltare il silenzio

da cui i rumori si staccano

ma ascoltando silenzio e rumori

ecco a v v e r t e se stesso


perché fare silenzio

dovrebbe essere esercizio quotidiano

perchè è entrare in contatto

con sé con il mondo

non necessariamente

col “mondo grande e terribile”

che ci attraversa

ma con quei dettagli minuscoli

che in esso vivono


particelle sottili che non nascondono

rivelano se uno vuole

se non si è soli

quel “mondo grande e terribile”

che ci attraversa


E' sempre un lungo sospiro di sollievo poter notare gli esiti felici toccati da chi, proponendosi una linea di poetica a priori, finisca per tradirla e spostarsi altrove. In questo caso (ma solo in questo) mi trovo d'accordo con l'impostazi...one crociana, che scindeva - in un poema come nel giro serrato di una lirica - zone di 'poesia' da zone di 'non poesia', avvertendoci che non si dava 'intuizione lirica' laddove interferiva l'intenzione programmatica.

Ciò non significa che ogni processo creativo fattosi 'opera' sia il frutto sbucciato da un raptus ispirativo, intuitivo e orfico; ma vale a far capire che la riflessione estetica, lasciata sulla soglia, rischia di inaridire e vincolare la resa espressiva; che rischia insomma di obbligare, in una maglia preconfezionata, la materia che si sta già cercando come 'forma'.

Ho letto quindi con timore il lacerto di diario-manifesto, che fissava la forma (la poesia filosofica) e metteva a nudo l'occasione-spinta generatrice del testo. Il risultato è stato un bellissimo tradimento. Gianni, le giunture nervose e scoperte del ragionamento (quel "Cogliere l'articolazione, ma appena quella necessaria") che ti apparecchiavi (è il verbo del viaggiatore, ma anche del poeta-viàtor) a rendere nei modi di una poesia di pensiero, non le avresti mai ottenute se quel pulviscolo di dettagli, misti a silenzio e attesa, fosse stato colato in un cavo già disposto.

Per fortuna il testo si muove in direzione ostinata e contraria. Disegna un itinerario di ricerca e di scavo che dall'ascolto del fuori in movimento si contrappone la fissità di una geografia interiore, nella quale gli oggetti sono 'istanze oscillanti', come le definiva Virginia Woolf.

Se c'è nel testo un' 'articolazione', minima ma capitale, questa è proprio nella spazialità scombaciata dell'invisibile vetro che separa i due mondi, le due tessiture di dettagli. Due piani compenetrati fino ad un certo punto, almeno per quanto riguarda un'indole creativa - nella quale le percezioni esterne cadono in maniera diversa; per essere sondate, scremate e raccolte di nuovo, secondo tagli, leggi e tempi di sedimentazione obliqui, deformati forse. Questa vertigine - che porta a cercar di fissare su carta il punto focale (il meccanismo) in cui idee e sensazioni, ricordi e impulsi, sono "articolazione" minima e necessaria - è ciò che prova non solo lo scrittore di razza, ma anche chi si avvicina alla scrittura occasionalmente, e sente come il corso del pensiero e dello sguardo prendano una piega diversa...


1 commento:

mr wasp ha detto...

questo blog è la cosa migliore che si poteva fare :)