Wherever this flag’s flown
We take care of our own
B. Sp
L’arte contemporanea ha un duplice effetto: attrae e ripugna, questo perché è difficile avere un occhio critico sul presente. Come la vita di un uomo ha un passato da raccontare, un futuro da immaginare e un presente da vivere così gli artisti contemporanei, poggiano le loro basi culturali sui passi dei maestri del passato, con una sensibilità che li rende unici si fanno portavoci del presente, dal quale traggono nuove idee per progettare e qualche volta orientare il futuro.
“American dreamers” è una mostra realizzata dal CCCS (Centro Cultura Contemporanea Strozzina) di Firenze, curata da Bartholomew F. Bland mette a confronto undici artisti americani contemporanei che cercano di rispondere alla domanda: che cos’è, oggi, il sogno americano?.
La mostra è una riflessione critica di cosa sia stato il sogno americano statunitense, se esiste ancora e se avrà ancora un futuro. Molte sono le differenze tra la cultura italiana e quella americana in particolare gli Stati Uniti sono ancora conosciuti dagli europei come la nazione della libertà: attraverso un duro lavoro e la fede nelle potenzialità dell’individuo, qualsiasi uomo può raggiungere prosperità, successo e la possibilità di un riscatto sociale; il mito americano, che faceva parte di quel sogno è stato per tanto tempo e lo è ancora ora, la casa, simbolo per eccellenza di successo economico, possesso, sicurezza, luogo di ritiro per l’individuo e il suo nucleo famigliare.
A partire da alcune scelte politiche, dettate da questa ideologia, dalla bolla immobiliare dei primi anni del 2000 e la sua esplosione nel 2009 si è creato un duro screzio nella società contemporanea, con ripercussioni anche gravi sulla politica e sull’economia americana e di conseguenza mondiale. E’ inevitabile che gli artisti, sensibili al profondo disagio sociale mettano in crisi e riflettano sui valori e i credi su cui si faceva affidamento ed esprimono tutta l’incertezza di cui l’arte d’oggi si fa carico.
Il prima artista che si incontra in mostra è ADAM CVIJANOVIC (1960) che è stato invitato a fare un affresco ed ha rappresentato un paesaggio leso e contaminato, tutto il contrario di quello che in America era il mito del paesaggio della “terra promessa” inviolata. Il pittore mette in luce la fragilità della casa, introduce il tema del terrore delle catastrofi naturali oltre a quello della speculazione immobiliare, e della lacerazione del paesaggio, il tutto immerso in un cielo ancora terso, il sogno americano è la presenza insieme di bellezza e paura.
Il sottotitolo della mostra è “realtà e immaginazione nell’arte americana”; il fatto è che il confine delle due si fa lieve nel momento in cui la realtà, così cruda e difficile si avvicina sempre più a uno scenario apocalittico e immaginifico; mentre certe figure idilliche, potremmo dire “caramellose” degli anni 50’ che l’America esaltava ed inseguiva si avvicinano sempre di più ad un esito drammatico, verso un possibile declino. Realtà ed immaginazione si confondo tra loro anche se su entrambe prevale la fantasia. Ai due estremi della mostra sono proprio THOMAS DOYLE (1976) e WILL COTTON (1965); mentre il primo costruisce con minuziosa precisione micro-mondi sotto vetro che rappresentano la vita quotidiana delle periferie urbane, il secondo, famoso per essere lo scenografo di Kate Perry, ritrae donne seducenti secondo uno stile fortemente realistico. Ad un occhio più attento sarà inevitabile osservare che le scene rappresentate da Doyle sono caratterizzate da un’atmosfera oscura e inquietante e sottolineano una tensione in bilico tra la visione idillica della vita di periferia e l’attrazione per gli spazi visionari, fantastici a volte horror. La ritrattistica di Cotton, invece, facendo continui riferimenti alla cultura del Settecento (nella grandezza delle tele, nella ricerca dei colori di Boucher e Tiepolo) si appropria dei desideri dell’America capitalista ambientando le sue figure in un mondo fatto di dolciumi e caramelle, assegnando così ai suoi frivoli soggetti una profonda contraddizione a metà tra la fantasia e il forte realismo.
Anche LAURA BELL (1972) rompe con la dimensione del reale per creare figure immaginarie; i suoi lavori sono acquarelli delicati ma complessi che alludono al sogno, al fantastico e al subconscio così come ADRIEN BROOM (1980) realizza fotografie che prendono spunto dalle fiabe e dalla fantasia e rientrano in una dimensione soprannaturale.
Un’altra componente dell’arte americana contemporanea è l’attenzione alla manualità, all’artigianalità, all’utilizzo degli elementi quotidiani; a questo proposito è NICK CAVE (1959) che alla sua esperienza di danzatore e artista contemporaneo unisce l’idea delle pratiche rituali collettive e nel teatro d’avanguardia e crea i cosiddetti soundsuits, sculture indossabili colorate e stravaganti. Questo tipo di arte ha le sue basi culturali nell’esplosione di vitalità degli eventi collettivi americani; che caratterizza parte del pensiero americano e che ha creato un vero proprio movimento che prevede di comunicare attraverso la rete internet e così condividere e organizzare il proprio tempo libero, cercando uno stile di vita alternativo. Il lavoro di Cave tenta di trasmettere l’idea di un’arte che sia più pratica che concettuale, e di sostituire l’idea di singolo artista detentore e produttore dell’Arte con quello di una collettività che condivide tecniche, tradizioni e la cosiddetta etica del fai da te (Do it yourselft: D.I.Y. ethos).
Si tratta di un concetto nuovo che introduce l’idea di “comunità”, anche virtuale, che opera esaltando l’atto creativo come espressione dell’interiorità di ciascuno in rapporto con gli altri e che ha fatto emergere fenomeni come il collective consumption o consumo collettivo.
A proposito di artigianalità e di lavorazione manuale, attraverso l’utilizzo anche di materiali quotidiani si possono introdurre due altri artisti, che si trovano in mostra: MANDY GREER (1973) e KIRSTEN HASSENFELD (1971); il primo crea degli spazi teatrali o installazione con l’uso di oggetti e materiali dismessi il secondo costruisce sculture modellando la carta (piegandola, arrotolandola, avvolgendo fogli) conferendogli il gusto di “fatto a mano”.
Un’altra differenza tra il pensiero americano e quello europeo sta nel credere veramente nelle proprie potenzialità; al di là di un disfattismo e un fatalismo diffuso, l’americano riconosce che dalle crisi ci si può rialzare e ricostruirsi da soli (vedi Bruce Sprinsting); si avverte, in mostra, l’individualismo e l’ottimismo quali tratti comuni della società americana, e l’ispirazione che dirige la tendenza a creare “cose belle” e non più disgustose. Vi è la ricerca nostalgica verso mondi interiori e spirituali; e il fatto che sono cambiate le ideologie, come per esempio l’idea economica di possesso, fa sì che si cambino anche le identità: essere trendy, in questo momento non vuol dire possedere ma condividere (vedi per esempio carsharing).
Le opere, in mostra, sono legate anche ad un’altra componente tipicamente americana che è quella della fantasia, della ricerca di una realtà alternativa che non abbia per forza un fondamento di paura, di critica alla società o peggio ancora di fuga dal mondo reale, quanto piuttosto e semplicemente la ricerca del gioco e “della gioia di vivere”.
Dunque chi sono oggi gli americani e cosa saranno è tutto da vedere in base alle nuove ideologie che cambiano e si costruiscono e che creano a loro volta scenari diversi e nuove identità.
Lievito antropologico, fornisce….inteto
American Dreamers. Mostra realizzata dal CCCS (Centro Cultura Contemporanea Strozzina) di Firenze, curata da Bartholomew F. Bland. 9 marzo-15 luglio 2012.
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