di Gianni Quilici
Quando la notte (o il giorno?)
lentamente si avvicina
ma la luce
permette ancora di vedere
in quegli attimi
miracolosamente
sospesi e incerti
con un paesaggio
quasi da preistoria
ecco il punctum
barthesiano
la falcata di uomo
in corsa
la sua ombra
ingigantita a dismisura
certamente realtà
ma pure sogno
di Davide Pugnana
La tentazione
dell'Herzog di Bellow non trascura nessuno, è un bel vizio onomaturgico che non
fa distinzioni, e preferisce visitare gli amanti della fotografia, al pari di quelli
del cinema.
Che bel campo di sensazioni sarebbe una
lettera scritta a Steve Mc Curry sulla corsa di quest'uomo che non poteva
essere iscritta se non in un bacino di luce riflessa; e il suo complementare
nell'ombra che si dilunga come un'eco geometrica; e il dondolio imperfetto di
isole che si restringono, in una manzoniana catena non interrotta di monti,
tutti a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli; e
poi, quasi a un tratto, vanno a ristringersi lontani, e a prender corso e
figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra
parte; e ancora campeggia il declivio di roccia, dove il segno dell'umano corre
a congiungere le due rive, e par che renda ancor più sensibile all'occhio
questa trasformazione alata. E segni il punto in cui il passo cede il posto
alla metafora viva: quella che porta il singolo scatto dentro il canone dei
grandi Vangeli fotografici.
Dopo la cartuccia letteraria, seduto nel suo
stanzino in penombra, cambiando l'angolazione sguincia dall'una all'altra
natica, l'Herzog della critica aggiungerebbe, a metà della sua epistola, che
una corrente iconografica sotterranea passa in questa foto, quasi che le
venature sottili della grande lastra siano fili d'argento tirati ad unire il footing
futurista della carne, stupendamente sagomata contro l'aurora ventosa, e
l'ombra del Discobolo greco, reincarnatosi per un istante tra le striscianti
larve della grotta di Platone.
Mio caro Steve - rinsangua Herzog, stimolato
dalla trovata del classico - tu sai che il mezzo santifica il fine e che la
filosofia fotografica in tempi di velociferico la sia fa con la
macchina-predatrice, che ha abolito il rauco clic per una piccola pressione,
silenziosa e taumaturgica. Quel bel corpo adonico fuso allo spazio naturale si
dissolverà nella sua bellezza vitale. Sarà restituzione di un antico prestito
di polvere. Io lo so, la tua macchina-predatrice, Steve, rimarrà abbandonata
sul promontorio, nella calma attesa che la corsa s'infiammi nello scialo dei
triti giorni. E anche le isole oscilleranno più incerte e sbeccate.
Non eri tu
quel monstrum che ci avevi dato il sogno di bellezza intatta di una mendicante
vermeeriana e, con la stessa inesorabile lucidità, ce l'avevi ridonata con le
mani di Cronos?
Nessun commento:
Posta un commento