11 ottobre 2016

2a postilla a “Psicoanalisi immaginaria di Frida Kahlo” di Riccardo Dalle Luche e Angela Palermo




 Dalla rappresentazione del corpo alla rappresentazione della carne:
abbozzo di una fenomenologia della pittura di Frida Kahlo
di Riccardo Dalle Luche


“(…) la carne in quanto sofferente, informe (…)
 visione d'angoscia, identificazione di angoscia,
 ultima rivelazione del tu sei questo
 – Tu sei questa cosa che è la più lontana da te, la più informe.”
(J.Lacan, Il seminario II, 1954-5)

 Ermeneutica vs. fenomenologia nell’opera di Frida Kahlo

Il libro su  Frida Kahlo, scritto con Angela Palermo,  è principalmente il frutto di un procedimento ermeneutico che mette in luce come nell’ormai celebre artista messicana la vita e l’opera si rinviino l’una con l’altra, in un percorso di ricerca di un’identità che sembra ripetutamente sul punto di collassare ma che, grazie alle risorse creative e di personalità di questa donna straordinaria, si ricostituisce in forme sempre nuove.  Il nostro lavoro ha anche consentito di identificare nell’opera la commistione di elementi consci e inconsci, apparentemente inconciliabili, che sorreggono l’impianto “surrealistico” della sua opera pittorica, per quanto commisto con numerosi altri generi e, soprattutto, diversamente dalla maggioranza dei surrealisti, chiarificabile dal lavoro interpretativo, cioè in buona misura riducibile alla logica del conscio.
Ma  la  forza e la importanza sia estetica che euristica dell'opera di Frida può forse esser colta anche ad un livello del tutto superficiale, che non necessita di alcuna interpretazione, quello della rappresentazione esplicita di vissuti corporei estremi (fisici e emotivi), riferibili immediatamente ad una integrità fisica e psichica in bilico sulla catastrofe dello smembramento (sia corporeo che affettivo): insomma,  nella soluzione insolita, anche se non del tutto inedita,  di rappresentarsi non solo come corpo, come avviene in qualsiasi autoritratto, ma come corpo e carne.
 Senza questo peculiarità espressiva  Frida  sarebbe stata assimilabile ad  una  delle migliaia di artiste del mondo intero che, soprattutto negli ultimi centocinquant'anni,  con risultati spesso eccellenti, si sono soffermate sul ritratto, l'autoritratto e la rappresentazione del corpo femminile, senza con questo volerne oltrepassare i limiti esteticamente fruibili. La pittura di Frida, invece, non è diventata celebre in virtù delle qualità estetiche, minori, ad esempio, rispetto ai quadri del celebre marito, Diego Rivera, molto più belli dei suoi, ma anche molto più scialbi, perché privi di spessore, di significato (se non ideologico e propagandistico), e soprattutto privi del potere che l'arte di Frida ha in massima misura: la capacità di stupire, di inquietare, di perturbare, di farci soffermare a riflettere. Questa qualità essenziale della pittura di Frida deriva dal fatto di introdurre così spesso, soprattutto nei momenti emotivamente più difficili della sua vita,  la rappresentazione del proprio Sé lacerato, smembrato, proprio attraverso la commistione della rappresentazione del corpo e della carne. Vedremo in dettaglio nei vari quadri come ciò avviene. Diciamo però subito che tre sono le modalità di Frida di rappresentare la carne:
a)      la prima è quella di dipingere e mostrare le parti corporee connesse alle funzioni vitali e alla riproduzione della vita , che di regola sono mantenute fuori scena (sono “oscene”) ed estranee alle finalità dell'estetica, tanto che quando compaiono in superficie determinano l'imbarazzo dello sguardo dell'osservatore, se non la ripugnanza, come è accaduto e tutt'ora accade a quadri perturbanti come L'origine del mondo di Courbet,  alle foto degli organi genitali di  Mapplethorne,  ai sessi femminili giganteschi di Mattia Moreni;
b)      il secondo modo è quella di mostrare gli organi del corpo, cuori, arterie, sangue,  colonne vertebrali, bacini, uteri con feti, con una precisione anatomica e naturalistica impeccabile ma disgiunta totalmente da finalità conoscitive o didattiche mediche; questi organi interni sono incongruamente visibili alla superficie corporea, oppure sono completamente distaccati e dislocati dal corpo a cui appartengono, sia fisicamente che nei loro significati simbolici;
c)        una terza apparizione della carne in Frida, in due quadri appartenenti a due periodi diversissimi, è quella legata all'alimentazione carnivora, carni morte o già in putrefazione: nel primo quadro (Il mio vestito è appeso là, 1933 ) questa massa sanguinolenta ed informe appare in un bidone dell’immondizia ad indicare l’opulenza società americana  (rispetto .a quella messicana), e destinata allo spreco e all’evacuazione (in questa direzione va il modernissimo w.c. sorretto dalla colonna).



Nel secondo (Senza speranza, 1945), relativo al periodo di anoressia e depressione sofferti da Frida, la stessa massa, nella quale si riconoscono teschi, polli, sfilze di salsicce, pesci morti, brandelli di carne informe che stravasano dall’enorme imbuto infilato nella sua bocca, è un’iperbole dell’alimentazione forzata e del vissuto dell’anoressica, per la quale gli alimenti non sono fonte di vita ma di ripugnanza e orrore, oggetti fobici : un quadro che in una sola immagine compendia tutti i vissuti dei soggetti  che oggi si curano per i  cosiddetti disturbi alimentari, anoressie di varia natura e/o  forme di restrizione alimentare vegetariane, vegane o ortoressiche.



Abbozzo di una fenomenologia della carne

Se la fenomenologia del corpo ha una sua ricca tradizione novecentesca, generata da Husserl e dai suoi discepoli, basata  sulla  distinzione spesso poco chiara e banalizzata tra corpo soggetto/corpo persona/ corpo proprio (Leib), e corpo oggetto/corpo cosa/corpo fisico (Körper) (Galimberti), molto più scarna, ci sia scusato il gioco di parole, è la letteratura fenomenologica sulla carne.    Tolto Michel Henry, che, sulla scia di Husserl, Sartre e Merleau-Ponty,  tenta di impostare un discorso rigorosamente fenomenologico dell'incarnazione, anche in senso religioso, ho trovato rilevanti riflessioni sulla carne soltanto in un autore eccentrico, un neurologo e uno psichiatra, sia pure di rigorosa formazione fenomenologica, come Lorenzo Calvi, e in alcuni spunti di Lacan e dei suoi epigoni tardivi come Giancarlo Ricci. In occidente il pensiero sulla carne ha comunque due, fondamentali e vetuste radici: quella cattolica e quella anatomica e organicista (entrambe ben presenti nell'opera di Frida Kahlo), che spesso si introducono occultamente o implicitamente in molti dei discorsi dedicati al corpo.
Calvi osa timidamente, in una nota ad un suo scritto, esternare il suo pensiero definitivo sulla carne come  “terza epifania della corporalità”,  accanto al corpo oggettivo, anatomico e organico ( Körper) e al corpo soggettivo o corpo vissuto (Leib): del primo ha l'anonima, del secondo l'irrealtà: “Sul piano eidetico, la carne è l'intuizione del magma fecale e viscerale. Sul piano ontologico, è lo stato originario, preintenzionale e pretematico del corpo, di cui, nella cultura occidentale, conosciamo la tematizzazione della tradizione giudaico-cristiana con tutto il suo correlato di impurità e di pesantezza, di peccato e di colpa. Nei disturbi mentali si ha consumo del Leib a opera della carne”, mentre,  potremmo proseguire noi,  nelle malattie fisiche principalmente si ha consumo del Leib ad opera del  corpo fisico (Körper): si ha, cioè, la consunzione del corpo perché l’organismo è malato. Se il Körper, cioè, è qualcosa di ben identificabile, secondo l’ottica meccanicistica, la carne è  “informe”, “un brandello di materia che vive da sé”, “un organo senza corpo” (Ricci), e si sottrae quindi ad un logos scientifico ed è piuttosto il frutto di una riduzione fenomenologica, immaginaria, attuata dal  soggetto, sulla base di ciò che “sente”, “percepisce” (nel piacere e nel dolore), ma che non sa e non può definire.
Se la proprietà del corpo/Körper , oggetto immediato ed esclusivo dell’attenzione e dell’opera della maggioranza dei medici, è quello di “funzionare” (ad esempio avendo organi sensoriali integri), quello del Leib è di “provare” in modo preciso o comunque definito, quello della carne è di sentire, godere, dolere in modo diffuso, difficilmente definibile e non memorizzabile (non mentalizzabile): i godimenti viscerali, ad esempio quelli sessuali, sono maggiori, nella loro oscurità, di quelli della pelle e del gusto, i dolori viscerali sono molto più insopportabili di quelli cutanei o degli arti, proprio per la loro mancanza di localizzazione precisa, di identificabilità. Fenomenologicamente infatti, scrive Henry, “la carne si lascia descrivere come carne affettiva –non essendo che quella, una carne vivente che sente e prova se stessa in un’impressionabilità e una affettività consustanziale alla sua essenza” (p. 174). Se per i mali del Körper  ci si può rivolgere ad un medico, per quelli del Leib  si sanno cause e motivi,  i piaceri e i dolori della carne  non si possono che  subire. E’ per questo potenziale di spossessamento della volontà e dell’identità, di definibilità e trasparenza, che la carne è così regolarmente fonte di angoscia ed entra o alimenta così prepotentemente in quelli che definiamo “disturbi psichici”.
  Vi è poi un livello “intermedio” di manifestazione della carne, là dove essa si affaccia alla superficie del corpo (cavo orale, genitali e ano), creando le cosiddette zone erogene. Si può dire che l'intera fenomenologia dell'amore potrebbe fondarsi su questa proprietà della carne di manifestarsi all’esterno e di sentire in virtù della presenza di un altro che, per la sua capacità di far(si) sentire, può diventare l'Altro, unico e insostituibile: l’amato. Non a caso detti e precetti tradizionali e religiosi indicano nella “comunione della carne” l’essenza del matrimonio, nei “peccati della carne” l’oggetto del vizio capitale della lussuria, della “compatibilità del sangue” l’essenza di un’unione sessuale felice. D’altro canto quando, per un traumatismo, l'involucro cutaneo si lacera, compare quella che il linguaggio comune chiama “la carne viva”, proprio per metterne in risalto l'estrema sensibilità. Se la rappresentazione delle ferite e del martirio ha tutta una sua tradizione nella pittura sacra (martirio di Cristo e dei Santi), ed anche nella importante quanto poco valorizzata tradizione degli ex voto, tutti gli aspetti carnali dell’amore, oltre ad essere stati per millenni identificati come elementi di impurità e di interdizione da buona parte delle religioni, appartengono alla sfera dell’”antiestetico” (Ricci) , dell’osceno, del non guardabile, del non rappresentabile; sono proprio questi infatti i soggetti che indicano il limite tra rappresentazione artistica e rappresentazione pornografica (che da questo punto di vista può essere considerata un tentativo disperato di padroneggiare il potere angoscioso della carne).
Come si è detto, invece,  la carne, gli organi interni, gli organi genitali e il sangue fanno la loro apparizione impudica e assolutamente naturalistica nei quadri di Frida Kahlo in entrambe le sfere: quella sessuale/sentimentale (sfera del sentire piacere o mancanza di piacere o della mancanza tout court) ed in quella delle lacerazioni traumatiche (sfera del sentire dolore), a partire dai due quadri che si riferiscono all’aborto del 1932 (Il letto volante e Frida e l’aborto), in particolare il primo dove gli organi interessati all’aborto sono estroflessi al corpo sanguinante di Frida come connessi da fili-capillari.

 Ne La mia nascita, dipinto dopo l’aborto e la morte della madre, Frida partorisce se stessa adulta in una  rappresentazione cruenta e veristica del parto, forse la prima nella storia dell’arte.
 L’estroflessione degli organi, ad esempio del cuore, in Memoria del cuore del 1937 è in altri quadri connesso ad un’imago corporea ridotta alle semplici vesti , ad un uro simulacro vuoto, privo di ogni interiorità, privo di carne.


  Ne Le due Frida entrambe hanno il cuore ben in mostra al centro del petto, ma uno è integro, l’altro è sezionato in due cosicchè la seconda Frida è tenuta in vita da una sorta di circolazione extracorporea che parte dalla prima e può solo pinzettare un’arteriola per evitare la definitiva emorragia.


 Il sangue cola dai soggetti dipinti fin sopra le cornici sia in Qualche colpo di pugnale (1935) che ne Il suicidio di Dorothy Hale (1938-9). Nei bellissimi , tardivi disegni, Autoritratto come una vulva (1947 e Il fenomeno imprevisto (nel Diario) sono invece i genitali a proporsi in primo piano: in particolare nel primo, si propone una totale identificazione del Sé col il proprio sesso, la propria carne, il proprio sentire, la propria Natura. Infine, è nel celebre La colonna rotta (1944) che Frida si mostra ancora una volta come mero sembiante corporeo vuoto, sostenuto da una colonna vertebrale/colonna dorica, spezzata.
Si può quindi dire che, accanto ai molti autoritratti nei quali, pur nel contesto di simbologie e allegorie, sono il corpo o il volto ad essere al centro della rappresentazione, inserendosi a pieno diritto nella tradizione della ritrattistica, sono molti i quadri in cui questa tradizione viene rivoluzionata, perché la rappresentazione del corpo va di pari passo con la rappresentazione della carne, o, come nel caso dei simulacri vuoti, della sua assenza. Si può dire che i confini corporei di Frida appaiono o permeabili, o trasparenti, o svuotati di ogni consistenza, in un gioco espressivo che mostra, appunto, la centralità, se non il ruolo sovrastante, che la carne ha nella sua vita a sostegno o, al contrario, a minaccia della sua identità. La carne è, fenomenologicamente, l’a-priori del soggetto (Calvi), ma la carne di per sé non ha soggettività, è assenza di soggetto (Ricci). In quanto tale è la minaccia maggiore all’identità soggettiva alla quale possono andare incontro gli esseri umani dopo un trauma o per una malattia (anzi si può dire tout court che la percezione della carne è traumatica, e per questo mette in marcia tutta una serie di disturbi ansiosi, fobici, ossessivi, post-traumatici), ma, come nel caso di Frida, è anche la risorsa attraverso la quale ri-soggettivarsi, ripartendo dalla matrice informe ma vitale del Sé: ad esempio attraverso il sesso, com’è successo a Frida e come ampiamente diciamo nel capitolo del libro sull’immaginario post-traumatico.

Frida Kahlo e la tradizione della carne nell’arte

E’ chiaro che l’aver intrapreso gli studi medici e aver studiato anatomia (progetto fallito solo per l’evenienza dell’incedente, dal quale Frida è uscita con l’identità di pittrice), non può non aver influenzato queste particolarità espressive. Del resto, a parte la tradizione rappresentativa del martirio di Cristo o dei Santi, ed il breve periodo della moda delle nature morte con animali morti e pezzi di carne, è proprio in campo medico che si è avuta la rappresentazione para-artistica della carne, sia pure attraverso la mediazione del corpo/körper, ad esempio negli atlanti di anatomia ma, soprattutto, nei preparati anatomici in cera , veri capolavori artistici sia pure con finalità didattica, realizzati tra il 1775 e la metà dell’ottocento da vari modellatori come Clemente Susini, che si possono ancora oggi ammirare ad esempio al Museo di Scienze Naturale di Firenze. Ancor prima il maestro ceroplasta Zumbo aveva immortalato i cadaveri degli appestati e i pittori olandesi dipinto le dissezioni anatomiche (Rembrandt: La lezione di anatomia  del dottor Tulp, 1632 e quella meno nota “del dottor Leyman “, 1656; ma anche Michiel van Mierevelt, la Lezione di anatomia del dottor Willem van der Meer 1617), nelle quali alla rappresentazione del corpo del cadavere si affianca la rappresentazione degli organi dissezionati, della carne di cui è fatto il corpo.


Contrariamente al tema dei cadaveri e nei morti che non ha mai cessato di avere i suoi cultori anche nell’800, tra i quali anche il Courbet autore di L’origine du monde (Lopopolo 2016), la carne ha trovato di nuovo la possibilità di esprimersi nella grande arte solo nel ‘900, ad esempio nell’opera di Herbert Boeckl, che negli anni ’30 riprende i quadri sulle lezioni anatomiche in chiave moderna, esaltando gli aspetti più raccapriccianti,

 oppure in Sex murder, di Otto Dix, così simile a Qualche colpo di pugnale di Frida Kahlo,


 Vicino a certe opere di  Frida, possono essere considerate alcune figure di Francis Bacon, nelle quali la deformazione del corpo allude all’esposizione della carne oppure dei tratti animali del corpo,  come nei Tre studi per la crocifissione (1962), nei quali, in una sorta di escalation, si passa dalla rappresentazione dei corpi a quella della carne sanguinolenta ed infine ai pezzi di macelleria.

Last but not least dobbiamo solo ricordare, ma questo aprirebbe tutto un altro discorso, come la carne abbia una sua importantissima rappresentazione nella storia del cinema, non solo perché è alla base del sottogenere splatter (che significa spargere sangue) del genere horrror, ma anche perché più di recente anche autori importanti come Cronenberg, Greenaway, Lars von Trier e Kim Ki-Duk in varie loro opere hanno voluto recuperare la potenza estrema del dolore e del piacere della carne per “far sentire” allo spettatore cinematografico, per la prima volta, il potere della visione di immagini  verso le quali normalmente tutti noi ci difendiamo drasticamente.
 In Frida, cha a questo punto dobbiamo considerare un’antesignana anche su questo punto, la rappresentazione della carne è connessa intimamente alla rappresentazione di sé e dei propri vissuti, del corpo, delle funzioni e dei vissuti delle donne, di tutte le donne; il carattere perturbante delle sue apparizioni è in qualche modo addolcito dal percorso di decifrazione ermeneutica, che le individua come basi corporee di un ragionamento che si potrebbe anche definire, in senso lato, fenomenologico o, forse, filosofico tout court; ed è questo che fa della sua opera un unicum, non solo nel campo della storia dell’arte, ma anche della fenomenologia del corpo.


Bibliografia:
Calvi L.: La carne, la scelta, l'epoché. In: Calvi L.: La coscienza paziente, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013, pp. 33-43.
Galimberti U. (1983): Il corpo.- Freltrinelli, Milano.
Henry M.: Incarnation. Une philosophie de la chair. Seuil, Paris, 2000.
Lopopolo D.: La morte nell’arte. Astenersi impressionabili. http://www.spettakolo.it/2016/03/28
Ricci G.: Il corpo e la carne. Sui disegni di Francesca Magro. www.giancarloricci.net/il-corpo-e-la-carne/ 2016




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