abbozzo di una
fenomenologia della pittura di Frida Kahlo
di Riccardo Dalle Luche
“(…)
la carne in quanto sofferente, informe (…)
visione d'angoscia, identificazione di
angoscia,
ultima rivelazione del tu sei questo
– Tu sei questa cosa che è la più lontana da
te, la più informe.”
(J.Lacan, Il seminario
II, 1954-5)
Ermeneutica vs. fenomenologia nell’opera di Frida Kahlo
Il libro su Frida
Kahlo, scritto con Angela Palermo, è
principalmente il frutto di un procedimento ermeneutico che mette in luce come
nell’ormai celebre artista messicana la vita e l’opera si rinviino l’una con
l’altra, in un percorso di ricerca di un’identità che sembra ripetutamente sul
punto di collassare ma che, grazie alle risorse creative e di personalità di
questa donna straordinaria, si ricostituisce in forme sempre nuove. Il nostro lavoro ha anche consentito di
identificare nell’opera la commistione di elementi consci e inconsci,
apparentemente inconciliabili, che sorreggono l’impianto “surrealistico” della
sua opera pittorica, per quanto commisto con numerosi altri generi e,
soprattutto, diversamente dalla maggioranza dei surrealisti, chiarificabile dal
lavoro interpretativo, cioè in buona misura riducibile alla logica del conscio.
Ma la forza e la importanza sia estetica che
euristica dell'opera di Frida può forse esser colta anche ad un livello del
tutto superficiale, che non necessita di alcuna interpretazione, quello della
rappresentazione esplicita di vissuti corporei estremi (fisici e emotivi),
riferibili immediatamente ad una integrità fisica e psichica in bilico sulla
catastrofe dello smembramento (sia corporeo che affettivo): insomma, nella soluzione insolita, anche se non del
tutto inedita, di rappresentarsi non
solo come corpo, come avviene in qualsiasi autoritratto, ma come corpo
e carne.
Senza questo
peculiarità espressiva Frida sarebbe stata assimilabile ad una
delle migliaia di artiste del mondo intero che, soprattutto negli ultimi
centocinquant'anni, con risultati spesso
eccellenti, si sono soffermate sul ritratto, l'autoritratto e la
rappresentazione del corpo femminile, senza con questo volerne oltrepassare i
limiti esteticamente fruibili. La pittura di Frida, invece, non è diventata
celebre in virtù delle qualità estetiche, minori, ad esempio, rispetto ai
quadri del celebre marito, Diego Rivera, molto più belli dei suoi, ma anche
molto più scialbi, perché privi di spessore, di significato (se non ideologico
e propagandistico), e soprattutto privi del potere che l'arte di Frida ha in
massima misura: la capacità di stupire, di inquietare, di perturbare, di farci
soffermare a riflettere. Questa qualità essenziale della pittura di Frida
deriva dal fatto di introdurre così spesso, soprattutto nei momenti
emotivamente più difficili della sua vita,
la rappresentazione del proprio Sé lacerato, smembrato, proprio
attraverso la commistione della rappresentazione del corpo e della carne.
Vedremo in dettaglio nei vari quadri come ciò avviene. Diciamo però subito che tre
sono le modalità di Frida di rappresentare la carne:
a)
la prima è quella di dipingere e mostrare le
parti corporee connesse alle funzioni vitali e alla riproduzione della vita ,
che di regola sono mantenute fuori scena (sono “oscene”) ed estranee alle
finalità dell'estetica, tanto che quando compaiono in superficie determinano
l'imbarazzo dello sguardo dell'osservatore, se non la ripugnanza, come è
accaduto e tutt'ora accade a quadri perturbanti come L'origine del mondo
di Courbet, alle foto degli organi
genitali di Mapplethorne, ai sessi femminili giganteschi di Mattia
Moreni;
b)
il secondo modo è quella di mostrare gli organi
del corpo, cuori, arterie, sangue,
colonne vertebrali, bacini, uteri con feti, con una precisione anatomica
e naturalistica impeccabile ma disgiunta totalmente da finalità conoscitive o
didattiche mediche; questi organi interni sono incongruamente visibili alla
superficie corporea, oppure sono completamente distaccati e dislocati dal corpo
a cui appartengono, sia fisicamente che nei loro significati simbolici;
c)
una terza
apparizione della carne in Frida, in due quadri appartenenti a due periodi
diversissimi, è quella legata all'alimentazione carnivora, carni morte o già in
putrefazione: nel primo quadro (Il mio vestito è appeso là, 1933 )
questa massa sanguinolenta ed informe appare in un bidone dell’immondizia ad
indicare l’opulenza società americana (rispetto .a quella messicana), e destinata
allo spreco e all’evacuazione (in questa direzione va il modernissimo w.c.
sorretto dalla colonna).
Nel secondo (Senza speranza, 1945), relativo al
periodo di anoressia e depressione sofferti da Frida, la stessa massa, nella
quale si riconoscono teschi, polli, sfilze di salsicce, pesci morti, brandelli
di carne informe che stravasano dall’enorme imbuto infilato nella sua bocca, è
un’iperbole dell’alimentazione forzata e del vissuto dell’anoressica, per la quale
gli alimenti non sono fonte di vita ma di ripugnanza e orrore, oggetti
fobici : un quadro che in una sola immagine compendia tutti i vissuti dei
soggetti che oggi si curano per i cosiddetti disturbi alimentari, anoressie di
varia natura e/o forme di restrizione
alimentare vegetariane, vegane o ortoressiche.
Abbozzo di una fenomenologia della carne
Se la fenomenologia del corpo ha una sua ricca tradizione
novecentesca, generata da Husserl e dai suoi discepoli, basata sulla
distinzione spesso poco chiara e banalizzata tra corpo soggetto/corpo
persona/ corpo proprio (Leib), e corpo oggetto/corpo cosa/corpo fisico (Körper)
(Galimberti), molto più scarna, ci sia scusato il gioco di parole, è la
letteratura fenomenologica sulla carne.
Tolto Michel Henry, che,
sulla scia di Husserl, Sartre e Merleau-Ponty,
tenta di impostare un discorso rigorosamente fenomenologico
dell'incarnazione, anche in senso religioso, ho trovato rilevanti riflessioni
sulla carne soltanto in un autore eccentrico, un neurologo e uno
psichiatra, sia pure di rigorosa formazione fenomenologica, come Lorenzo Calvi,
e in alcuni spunti di Lacan e dei suoi epigoni tardivi come Giancarlo Ricci. In
occidente il pensiero sulla carne ha comunque due, fondamentali e vetuste
radici: quella cattolica e quella anatomica e organicista (entrambe ben
presenti nell'opera di Frida Kahlo), che spesso si introducono occultamente o
implicitamente in molti dei discorsi dedicati al corpo.
Calvi osa timidamente, in una nota ad un suo scritto,
esternare il suo pensiero definitivo sulla carne come “terza epifania della corporalità”, accanto al corpo oggettivo, anatomico e
organico ( Körper) e al corpo soggettivo o corpo vissuto (Leib):
del primo ha l'anonima, del secondo l'irrealtà: “Sul piano eidetico, la carne è
l'intuizione del magma fecale e viscerale. Sul piano ontologico, è lo stato
originario, preintenzionale e pretematico del corpo, di cui, nella cultura
occidentale, conosciamo la tematizzazione della tradizione giudaico-cristiana
con tutto il suo correlato di impurità e di pesantezza, di peccato e di colpa.
Nei disturbi mentali si ha consumo del Leib a opera della carne”,
mentre, potremmo proseguire noi, nelle malattie fisiche principalmente si ha
consumo del Leib ad opera del
corpo fisico (Körper): si ha, cioè, la consunzione
del corpo perché l’organismo è malato. Se il Körper, cioè, è
qualcosa di ben identificabile, secondo l’ottica meccanicistica, la carne
è “informe”, “un brandello di materia
che vive da sé”, “un organo senza corpo” (Ricci), e si sottrae quindi ad un logos
scientifico ed è piuttosto il frutto di una riduzione fenomenologica,
immaginaria, attuata dal soggetto, sulla
base di ciò che “sente”, “percepisce” (nel piacere e nel dolore), ma che non sa
e non può definire.
Se la proprietà del corpo/Körper , oggetto immediato
ed esclusivo dell’attenzione e dell’opera della maggioranza dei medici, è
quello di “funzionare” (ad esempio avendo organi sensoriali integri), quello
del Leib è di “provare” in modo preciso o comunque definito, quello
della carne è di sentire, godere, dolere in modo diffuso, difficilmente
definibile e non memorizzabile (non mentalizzabile): i godimenti viscerali, ad
esempio quelli sessuali, sono maggiori, nella loro oscurità, di quelli della
pelle e del gusto, i dolori viscerali sono molto più insopportabili di quelli
cutanei o degli arti, proprio per la loro mancanza di localizzazione precisa,
di identificabilità. Fenomenologicamente infatti, scrive Henry, “la carne si
lascia descrivere come carne affettiva –non essendo che quella, una carne
vivente che sente e prova se stessa in un’impressionabilità e una affettività
consustanziale alla sua essenza” (p. 174). Se per i mali del Körper ci si può rivolgere ad un medico, per quelli
del Leib si sanno cause e motivi,
i piaceri e i dolori della carne non si possono che subire. E’ per questo potenziale di
spossessamento della volontà e dell’identità, di definibilità e trasparenza,
che la carne è così regolarmente fonte di angoscia ed entra o alimenta così
prepotentemente in quelli che definiamo “disturbi psichici”.
Vi è poi un livello
“intermedio” di manifestazione della carne, là dove essa si affaccia alla
superficie del corpo (cavo orale, genitali e ano), creando le cosiddette zone
erogene. Si può dire che l'intera fenomenologia dell'amore potrebbe fondarsi su
questa proprietà della carne di manifestarsi all’esterno e di sentire in
virtù della presenza di un altro che, per la sua capacità di far(si)
sentire, può diventare l'Altro, unico e insostituibile: l’amato. Non a caso
detti e precetti tradizionali e religiosi indicano nella “comunione della
carne” l’essenza del matrimonio, nei “peccati della carne” l’oggetto del vizio
capitale della lussuria, della “compatibilità del sangue” l’essenza di
un’unione sessuale felice. D’altro canto quando, per un traumatismo,
l'involucro cutaneo si lacera, compare quella che il linguaggio comune chiama
“la carne viva”, proprio per metterne in risalto l'estrema sensibilità. Se la
rappresentazione delle ferite e del martirio ha tutta una sua tradizione nella
pittura sacra (martirio di Cristo e dei Santi), ed anche nella importante
quanto poco valorizzata tradizione degli ex voto, tutti gli aspetti carnali
dell’amore, oltre ad essere stati per millenni identificati come elementi di impurità
e di interdizione da buona parte delle religioni, appartengono alla sfera
dell’”antiestetico” (Ricci) , dell’osceno, del non guardabile, del non
rappresentabile; sono proprio questi infatti i soggetti che indicano il limite
tra rappresentazione artistica e rappresentazione pornografica (che da questo
punto di vista può essere considerata un tentativo disperato di padroneggiare
il potere angoscioso della carne).
Come si è detto, invece,
la carne, gli organi interni, gli organi genitali e il sangue fanno la
loro apparizione impudica e assolutamente naturalistica nei quadri di Frida
Kahlo in entrambe le sfere: quella sessuale/sentimentale (sfera del sentire
piacere o mancanza di piacere o della mancanza tout court) ed in quella
delle lacerazioni traumatiche (sfera del sentire dolore), a partire dai due
quadri che si riferiscono all’aborto del 1932 (Il letto volante e Frida
e l’aborto), in particolare il primo dove gli organi interessati all’aborto
sono estroflessi al corpo sanguinante di Frida come connessi da fili-capillari.
Ne La mia nascita,
dipinto dopo l’aborto e la morte della madre, Frida partorisce se stessa adulta
in una rappresentazione cruenta e
veristica del parto, forse la prima nella storia dell’arte.
L’estroflessione
degli organi, ad esempio del cuore, in Memoria del cuore del 1937 è in
altri quadri connesso ad un’imago corporea ridotta alle semplici vesti , ad un
uro simulacro vuoto, privo di ogni interiorità, privo di carne.
Ne Le due Frida
entrambe hanno il cuore ben in mostra al centro del petto, ma uno è integro,
l’altro è sezionato in due cosicchè la seconda Frida è tenuta in vita da una
sorta di circolazione extracorporea che parte dalla prima e può solo pinzettare
un’arteriola per evitare la definitiva emorragia.
Il sangue cola dai
soggetti dipinti fin sopra le cornici sia in Qualche colpo di pugnale
(1935) che ne Il suicidio di Dorothy Hale (1938-9). Nei bellissimi ,
tardivi disegni, Autoritratto come una vulva (1947 e Il fenomeno
imprevisto (nel Diario) sono invece i genitali a proporsi in primo piano:
in particolare nel primo, si propone una totale identificazione del Sé col il
proprio sesso, la propria carne, il proprio sentire, la propria Natura. Infine,
è nel celebre La colonna rotta (1944) che Frida si mostra ancora una
volta come mero sembiante corporeo vuoto, sostenuto da una colonna
vertebrale/colonna dorica, spezzata.
Si può quindi dire che, accanto ai molti autoritratti nei
quali, pur nel contesto di simbologie e allegorie, sono il corpo o il volto ad
essere al centro della rappresentazione, inserendosi a pieno diritto nella
tradizione della ritrattistica, sono molti i quadri in cui questa tradizione
viene rivoluzionata, perché la rappresentazione del corpo va di pari passo con
la rappresentazione della carne, o, come nel caso dei simulacri vuoti, della
sua assenza. Si può dire che i confini corporei di Frida appaiono o permeabili,
o trasparenti, o svuotati di ogni consistenza, in un gioco espressivo che
mostra, appunto, la centralità, se non il ruolo sovrastante, che la carne ha
nella sua vita a sostegno o, al contrario, a minaccia della sua identità. La
carne è, fenomenologicamente, l’a-priori del soggetto (Calvi), ma la carne di
per sé non ha soggettività, è assenza di soggetto (Ricci). In quanto tale è la
minaccia maggiore all’identità soggettiva alla quale possono andare incontro
gli esseri umani dopo un trauma o per una malattia (anzi si può dire tout
court che la percezione della carne è traumatica, e per questo mette in marcia tutta una
serie di disturbi ansiosi, fobici, ossessivi, post-traumatici), ma, come nel
caso di Frida, è anche la risorsa attraverso la quale ri-soggettivarsi,
ripartendo dalla matrice informe ma vitale del Sé: ad esempio attraverso il
sesso, com’è successo a Frida e come ampiamente diciamo nel capitolo del libro
sull’immaginario post-traumatico.
Frida Kahlo e la tradizione della carne nell’arte
E’ chiaro che l’aver intrapreso gli studi medici e aver
studiato anatomia (progetto fallito solo per l’evenienza dell’incedente, dal
quale Frida è uscita con l’identità di pittrice), non può non aver influenzato
queste particolarità espressive. Del resto, a parte la tradizione
rappresentativa del martirio di Cristo o dei Santi, ed il breve periodo della
moda delle nature morte con animali morti e pezzi di carne, è proprio in campo
medico che si è avuta la rappresentazione para-artistica della carne, sia pure
attraverso la mediazione del corpo/körper, ad esempio negli atlanti di
anatomia ma, soprattutto, nei preparati anatomici in cera , veri capolavori
artistici sia pure con finalità didattica, realizzati tra il 1775 e la metà
dell’ottocento da vari modellatori come Clemente Susini, che si possono ancora
oggi ammirare ad esempio al Museo di Scienze Naturale di Firenze. Ancor prima
il maestro ceroplasta Zumbo aveva immortalato i cadaveri degli appestati e i
pittori olandesi dipinto le dissezioni anatomiche (Rembrandt: La lezione di
anatomia del dottor Tulp, 1632 e
quella meno nota “del dottor Leyman “, 1656; ma anche Michiel van
Mierevelt, la Lezione di anatomia del dottor Willem van der Meer 1617),
nelle quali alla rappresentazione del corpo del cadavere si affianca la
rappresentazione degli organi dissezionati, della carne di cui è fatto il
corpo.
Contrariamente al tema dei cadaveri e nei morti che non ha
mai cessato di avere i suoi cultori anche nell’800, tra i quali anche il
Courbet autore di L’origine du monde (Lopopolo 2016), la carne ha
trovato di nuovo la possibilità di esprimersi nella grande arte solo nel ‘900,
ad esempio nell’opera di Herbert Boeckl, che negli anni ’30 riprende i quadri
sulle lezioni anatomiche in chiave moderna, esaltando gli aspetti più
raccapriccianti,
oppure in Sex
murder, di Otto Dix, così simile a Qualche colpo di pugnale di Frida
Kahlo,
Vicino a certe opere
di Frida, possono essere considerate
alcune figure di Francis Bacon, nelle quali la deformazione del corpo allude
all’esposizione della carne oppure dei tratti animali del corpo, come nei Tre studi per la crocifissione
(1962), nei quali, in una sorta di escalation, si passa dalla
rappresentazione dei corpi a quella della carne sanguinolenta ed infine ai
pezzi di macelleria.
Last but not least dobbiamo solo ricordare, ma questo
aprirebbe tutto un altro discorso, come la carne abbia una sua
importantissima rappresentazione nella storia del cinema, non solo perché è
alla base del sottogenere splatter (che significa spargere sangue) del
genere horrror, ma anche perché più di recente anche autori importanti
come Cronenberg, Greenaway, Lars von Trier e Kim Ki-Duk in varie loro opere
hanno voluto recuperare la potenza estrema del dolore e del piacere della carne
per “far sentire” allo spettatore cinematografico, per la prima volta, il
potere della visione di immagini verso le
quali normalmente tutti noi ci difendiamo drasticamente.
In Frida, cha a
questo punto dobbiamo considerare un’antesignana anche su questo punto, la
rappresentazione della carne è connessa intimamente alla rappresentazione di sé
e dei propri vissuti, del corpo, delle funzioni e dei vissuti delle donne, di
tutte le donne; il carattere perturbante delle sue apparizioni è in qualche
modo addolcito dal percorso di decifrazione ermeneutica, che le individua come
basi corporee di un ragionamento che si potrebbe anche definire, in senso lato,
fenomenologico o, forse, filosofico tout court; ed è questo che fa della
sua opera un unicum, non solo nel campo della storia dell’arte, ma anche
della fenomenologia del corpo.
Bibliografia:
Calvi L.: La carne, la scelta, l'epoché. In: Calvi L.: La
coscienza paziente, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013, pp. 33-43.
Galimberti U. (1983): Il corpo.- Freltrinelli, Milano.
Henry M.:
Incarnation. Une philosophie de la chair. Seuil, Paris, 2000.
Lopopolo D.: La morte nell’arte. Astenersi impressionabili.
http://www.spettakolo.it/2016/03/28
Ricci G.: Il corpo e la carne. Sui disegni di Francesca
Magro. www.giancarloricci.net/il-corpo-e-la-carne/
2016
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