di Gianni Quilici
Che Ferdinando Scianna
sia conosciuto come un grande fotografo, credo possa essere scontato, meno
forse come sottile intellettuale, che sa scrivere.
In Autoritratto di un fotografo mi hanno
colpito due aspetti.
Il primo: il
desiderio di condivisione con il lettore su ciò che andava scrivendo, con un bisogno
latente di non annoiare, tanto che termina il suo viaggio a grappoli così.
“Adios, anche a
voi, cari amici, e perdonatemi questo lungo, logorroico monologo”. Dove, penso
io, il lungo monologo è in realtà un breve monologo, sia perché ciò che Scianna
scrive è necessario e interessante, sia perché alcuni di questi capitoletti
avrebbero potuto benissimo avere ben altra ampiezza.
In questo
autoritratto Scianna, infatti, racconta
la sua adolescenza in Sicilia e le prime fotografie, la scelta coraggiosa di
fare il fotografo e l’incontro decisivo con Leonardo Sciascia, l’ascesa a
Milano e l’esperienza formidabile de l’Europeo, i suoi Maestri e l’incontro con
Cartier-Bresson, la Magnum e alcuni suoi famosi reportage; e riflette sul
fotografo e la fotografia con una critica (giusta a mio parere) alla fotografia
creativa e concettuale che “pecca spesso proprio per eccesso di cerebralismo o
di estetismo fine a se stesso” e rimarcando, invece, che la sua poetica
fotografica è quella che nasce “tra forte pensiero, intenso sentimento,
fantasia formale”.
Il secondo
aspetto: Scianna ha realizzato, in questo come in qualche altro volume, ciò che
ha sempre desiderato fare. Un libro in cui “ le immagini, le parole, i pensieri
sono strettamente e indistricabilmente connessi”. In questo autoritratto più
importante è la parola; le immagini accompagnano il testo dall’interno
esemplificandolo.
Proprio per questo
Autoritratto di un fotografo
suggerisce una ricerca tutta da fare, che concerne sia gli scrittori che hanno
usato (dentro o fuori il romanzo) la fotografia; sia fotografi, che
inversamente hanno utilizzato (dentro o fuori la fotografia) la scrittura. Una
ricerca in una cornice contemporanea, in cui la tendenza è la contaminazione
dei linguaggi, che potranno dar luogo, come sta accadendo, a libri di
fotografia o di letteratura mai visti. Uno degli esempi, in cui i due linguaggi
meglio si fondono, sono sicuramente i libri (poco pubblicati in italiano) del
fotografo-regista francese Raymond Depardon.
In conclusione dal
libro di Scianna viene fuori un autoritratto mai banale, fluido, sempre
perspicace, che condensa racconto e riflessione con una scrittura chiara e “fraterna”
per impiegare una categoria utilizzata
da Franco Cordelli.
Ferdinando Scianna. Autoritratto di un
fotografo. Bruno Mondadori.
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