di Gianni Quilici
Grande foto per due
motivi.
Il primo: perché è
straordinaria nel taglio fotografico. Delinea, infatti, un rapporto
interpersonale, in cui il focus è concentrato su Sartre, un Sartre raccolto,
pensante, mentre l’altro Jean Pouillon, l’architetto, è visibile quel tanto
sufficiente ad individuarlo e nello
stesso tempo a consentire quella linea di fuga, che corre lungo il parapetto
del Pont des Arts con il lampione e
soprattutto con la sagoma di due, forse tre corpi scuri come fantasmi contro lo
sfondo chiaro, delineando un contrasto netto e però armonioso tra il realismo
della figura sartriana e la visione onirica quasi teatrale del cupolone d’una
chiesa, di palazzi e di alberi appena visibili nel grigio tenue di una
qualsiasi giornata.
Ma c’è un secondo
motivo: la presenza di Sartre. Il filosofo francese, infatti, appare in una di
quelle concentrazioni consapevoli, prive forse ancora di pensiero, come se lo aspettasse o lo stesse naturalmente
elaborando: gli occhi strabici, le rughe
sulla fronte, la mano serrata sulla pipa.
Ma qui Sartre non è
soltanto nello spessore psichico del ritratto di Cartier-Bresson, è anche la
storia che il suo nome trasmette, che va oltre la sua rappresentazione
figurativa.
Perché Sartre è un
intellettuale filosofo e scrittore (e poi diverse altre cose), che ha segnato
un’epoca, divenendo, per certi versi, un mito e questa valenza
extra-fotografica moltiplica il valore stesso della foto come per certe immagini
di Picasso o di Pasolini, di Beckett o di Virginia Woolf, di
Kafka o di Rimbaud per fare alcuni banali esempi.
Henri Cartier Bresson. Francia. Parigi. Pont
des Arts. 1946.
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