26 dicembre 2016

“Jean-Paul Sartre” foto di Henri Cartier-Bresson



di Gianni Quilici

     Grande foto per due motivi.
Il primo: perché è straordinaria nel taglio fotografico. Delinea, infatti, un rapporto interpersonale, in cui il focus è concentrato su Sartre, un Sartre raccolto, pensante, mentre l’altro Jean Pouillon, l’architetto, è visibile quel tanto sufficiente ad individuarlo e  nello stesso tempo a consentire quella linea di fuga, che corre lungo il parapetto del  Pont des Arts con il lampione e soprattutto con la sagoma di due, forse tre corpi scuri come fantasmi contro lo sfondo chiaro, delineando un contrasto netto e però armonioso tra il realismo della figura sartriana e la visione onirica quasi teatrale del cupolone d’una chiesa, di palazzi e di alberi appena visibili nel grigio tenue di una qualsiasi giornata.

     Ma c’è un secondo motivo: la presenza di Sartre. Il filosofo francese, infatti, appare in una di quelle concentrazioni consapevoli, prive forse ancora di pensiero, come se  lo aspettasse o lo stesse naturalmente elaborando:  gli occhi strabici, le rughe sulla fronte, la mano serrata sulla pipa.
Ma qui Sartre non è soltanto nello spessore psichico del ritratto di Cartier-Bresson, è anche la storia che il suo nome trasmette, che va oltre la sua rappresentazione figurativa.
 
    Perché Sartre è un intellettuale filosofo e scrittore (e poi diverse altre cose), che ha segnato un’epoca, divenendo, per certi versi, un mito e questa valenza extra-fotografica moltiplica il valore stesso della foto come per certe immagini di Picasso  o di  Pasolini, di Beckett o di Virginia Woolf, di Kafka o di Rimbaud per fare alcuni banali esempi.
 

Henri Cartier Bresson. Francia. Parigi. Pont des Arts. 1946.  




 

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