di Gianni Quilici
Che bello scatto! E guardandolo con gli
occhi dell’oggi come non provare quel sentimento pericoloso, ma comprensibile:
nostalgia! Non tanto, perché vi si coglie il tempo del passato, che sovente dà percezioni
mortuarie, ma anche perché nella sua semplicità, essenzialità e anche eleganza
ha il bagliore dell’autenticità. E infatti quella vetrina, quei bagliori di
luce, quella scritta semicircolare “telephone”, quei bicchieri e bottiglie, quella
nuca di uomo seduto lasciano trapelare altre immagini di caffè parigini con
quell’atmosfera popolare, ormai perduta, d’altri tempi.
Ma senza i due corpi abbracciati la foto
sarebbe inesorabilmente descrittiva.
Così diventa invece poetica, magnifica nel modo come vengono rappresentati
lui-lei.
Infatti la silhouette delle loro figure, che li schiaccia contro la
vetrina chiara, contorna i loro profili giovani e graziosi, ma nello stesso
tempo non li identifica, li simbolizza. Non solo: i corpi appaiono fusi come se
fossero uno soltanto, per poi dividersi in due volti: occhi che si guardano, bocche
tra loro vicine.
Ecco allora che il luogo e il tempo, con i
corpi nel loro contrasto cromatico del bianco e nero, si fondono in una
possibile storia, che va oltre il realismo dello scatto fino a diventare una
possibile metafora di ciò che potremmo chiamare sentimento amoroso o semplice
attrazione.
Willy Ronis.
Parigi, Cafè Mestre, 1947
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