11 febbraio 2018

"Le avventure di Numero Primo" di Marco Paolini



di Cosima di Tommaso
Esser partecipi di uno spettacolo di Marco Paolini è un’esperienza quasi mistica, se non fosse per il fatto che egli affonda le mani con naturalezza inusitata nella granitica essenza umana.
Così è stato lo spettacolo messo in scena al Teatro Verdi di Padova: “Le avventure di Numero”Primo” (tratto dall’omonimo romanzo): un’apnea di 115 minuti dalla quale è impossibile non uscirne  “trasformati”.
Apparentemente è una fiaba-reportage che racconta le avventure di un bambino,  che chiamano "Numero Primo".  
Uscendo dal teatro, ho definito lo spettacolo “perforante” come è nello stile di Marco Paolini.
Ecco, lo stile è  asciutto e privo di orpelli ed è ciò che  ho trovato particolarmente maturato   negli anni: non un respiro è fine a se stesso.
La  messa in scena è minima, essenziale, tanto da poter dire, di ascendenza shaekspeariana, in cui è la parola che effigia luoghi sensoriali ed immaginativi:  non una parola in più, non una in meno. La sua prosa poetica è oggettiva, lapidaria  e, si realizza nell’ “hic et nunc”.
Ha piegato l’arte, attraversandola in largo e, servendosene  giudiziosamente (persino  in un barocco ‘recitar cantando’),  recuperando via via,  i semi della cultura classica.
E’ una sorta di  ‘tragedia’ moderna, che affonda nell’animo umano, scoprendo quanto sia sottile la linea che separa il bene dal male, quanto incomba sull’uomo il ‘destino’ a cui nessuno può sottrarsi. L’uomo del 2000 è tutto immerso nel ‘fato’ prodotto da una ineluttabilità virtuale ed artificiale.
 C’è l’incombere sull’uomo di un’indistinta “catastrofe” (talora speranza velata?) di un evento incontrollabile per l’uomo,  che fa precipitare la vicenda narrata nella morte- non morte violenta ed espiatoria del protagonista, che è stato preda-testimone di una sorta di Batracomiomachia del nostro tempo (lotta fino all’ultimo sangue tra gabbiani e topi).
 Numero Primo è un “debrutalizzatore”, non un  bambino  comune, introdotto nel nostro futuro, che a suo modo  mette in atto una sorta di palingenesi umana, nella misura in cui  l’uomo rimembra ciò che realmente è, ovvero (anche) un “poeta”, capace di “fare”, “creare”, “realizzare”.
A Ettore, il vero eroe, umanissimo (terrestre, forse un veneto del bellunese, fotografo free lance) non resta che accettare il proprio destino e, in questo atto dolorosissimo di umiltà e consapevole accettazione, risiede la vera grandezza umana.
Non è cosa immediatamente facile che un monologo di 115 minuti carpisca lo spettatore e lo tenga avvinto sino alla fine.
Paolini  è  stato capace di generare, in  qualcuno di loro, un vero e proprio ‘transfert’: l’arte ha assolto pienamente alla sua funzione sociale.

Marco Paolini, “Le avventure di Numero Primo”, Einaudi, 2017

(spettacolo teatrale del 25.11.20017 Teatro Verdi)












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