di Cosima di Tommaso
Esser
partecipi di uno spettacolo di Marco Paolini è un’esperienza quasi mistica, se
non fosse per il fatto che egli affonda le mani con naturalezza inusitata nella
granitica essenza umana.
Così
è stato lo spettacolo messo in scena al Teatro Verdi di Padova: “Le avventure
di Numero”Primo” (tratto dall’omonimo romanzo): un’apnea di 115 minuti dalla
quale è impossibile non uscirne
“trasformati”.
Apparentemente è una fiaba-reportage
che racconta le avventure di un bambino,
che chiamano "Numero Primo".
Uscendo
dal teatro, ho definito lo spettacolo “perforante” come è nello stile di Marco
Paolini.
Ecco,
lo stile è asciutto e privo di orpelli
ed è ciò che ho trovato particolarmente
maturato negli anni: non un respiro è
fine a se stesso.
La messa in scena è minima, essenziale, tanto da
poter dire, di ascendenza shaekspeariana, in cui è la parola che effigia luoghi
sensoriali ed immaginativi: non una
parola in più, non una in meno. La sua prosa poetica è oggettiva,
lapidaria e, si realizza nell’ “hic et
nunc”.
Ha
piegato l’arte, attraversandola in largo e, servendosene giudiziosamente (persino in un barocco ‘recitar cantando’), recuperando via via, i semi della cultura classica.
E’
una sorta di ‘tragedia’ moderna, che
affonda nell’animo umano, scoprendo quanto sia sottile la linea che separa il
bene dal male, quanto incomba sull’uomo il ‘destino’ a cui nessuno può
sottrarsi. L’uomo del 2000 è tutto immerso nel ‘fato’ prodotto da una
ineluttabilità virtuale ed artificiale.
C’è l’incombere sull’uomo di un’indistinta
“catastrofe” (talora speranza velata?) di un evento incontrollabile per
l’uomo, che fa precipitare la vicenda
narrata nella morte- non morte violenta ed espiatoria del protagonista, che è
stato preda-testimone di una sorta di Batracomiomachia del nostro tempo (lotta
fino all’ultimo sangue tra gabbiani e topi).
Numero Primo è un
“debrutalizzatore”, non un bambino comune, introdotto nel nostro futuro, che a
suo modo mette in atto una sorta di
palingenesi umana, nella misura in cui
l’uomo rimembra ciò che realmente è, ovvero (anche) un “poeta”, capace di
“fare”, “creare”, “realizzare”.
A
Ettore, il vero eroe, umanissimo (terrestre, forse un veneto del bellunese,
fotografo free lance) non resta che accettare il proprio destino e, in questo
atto dolorosissimo di umiltà e consapevole accettazione, risiede la vera
grandezza umana.
Non
è cosa immediatamente facile che un monologo di 115 minuti carpisca lo
spettatore e lo tenga avvinto sino alla fine.
Paolini è
stato capace di generare, in
qualcuno di loro, un vero e proprio ‘transfert’: l’arte ha assolto
pienamente alla sua funzione sociale.
Marco Paolini, “Le avventure di Numero
Primo”, Einaudi, 2017
(spettacolo
teatrale del 25.11.20017 Teatro Verdi)
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