04 febbraio 2018

"Scritti sull'arte figurativa" di Konrad Fiedler



di Davide Pugnana

Nessuno quanto Konrad Fiedler ha saputo descrivere dal di dentro, come una gigantesca lente ad altissima definizione, la radice conoscitiva dell'artista figurativo, isolandola da ogni altra forma conoscitiva e mostrandola nella sua specificità costitutiva. Le sue pagine dovrebbero anticipare, o affiancare, lo studio diretto degli oggetti d'arte. Prima di qualsiasi manuale di storia dell'arte, Fiedler analizza le "cause" profonde che sottendono il "fare" arte. I suoi saggi sono scritti dando voce a ciò che gli artisti sperimentano lungo il loro percorso di ricerca dell' "espressione", dalla mente alla mano. Quella fiedleriana è una gnoseologia sospesa tra la gestazione della forma e la sua prossimità nella materia. Proprio su questa soglia tra spirito e materia egli scava con ostinazione.

Secondo Fiedler, all'origine siamo tutti ugualmente in possesso di un "materiale sensibile" costituito dal progressivo stratificarsi di depositi di percezioni e stimoli che riceviamo dal mondo esterno e che costituiscono l'insieme vitale e dinamico, ma anche vago e caotico, del nostro mondo interiore. La differenza tra chi è artista e chi non lo è non è solo in un innato potenziamento delle percezioni; ma nel modo in cui l'artista riesce a dargli "forma espressiva" attraverso il suo "fare" artistico, cioè il processo creativo. 

Se l'uomo comune tende passivamente ad abbandonarsi a suggestioni e stati d'animo, quasi subendoli o lasciandoli morire nel loro stesso farsi, l'artista, al contrario, sviluppa la "facoltà" di controllare e possedere questo magma di sensazioni e di immagini, dandogli un asseto razionale - cioè conoscitivo - attraverso l'attività artistica, cioè i movimenti fisici della mano - quella cinetica della "mano" che Focillon definirà stupendamente "poesia in azione". Se non ci fosse l'azione della mano, questo processo conoscitivo non avrebbe possibilità di realizzarsi all'esterno. 
Per questo Fiedler definisce il fare creativo un processo a un tempo spirituale e corporeo, perché i segni espressivi traducono e danno compiutezza a ciò che si sta svolgendo nell'interiorità. Lo studio è solo una continuazione e un "mezzo" di questo processo senza limiti, che si svolge prima di tutto a livello conoscitivo e il cui silenzio ha fine solo in virtù della finitezza biologica dell'artista.
 

Un estratto:
"L'artista non si distingue per una speciale attitudine visiva, per il fatto che egli possa vedere di più, o più intensamente, degli altri, oppure perché possieda nei suoi organi visivi una speciale facoltà di scelta, di concentrazione, di trasformazione, di nobilitazione, di trasfigurazione, in modo da rivelare nei suoi prodotti le conquiste del suo vedere; egli si distingue invece per il fatto che una particolare attitudine della sua natura lo pone in grado di passare immediatamente dalla percezione all'espressione visiva: il suo rapporto nei riguardi della natura non è un rapporto visivo, ma un rapporto espressivo. Il miracolo dell'arte consiste propriamente in questo. [...] Solamente chi possa immaginare l'effettivo processo che ha luogo perché possa avvenire questo passaggio da una pura rappresentazione interna all'attività espressiva vera e propria, si potrà convincere che nell'intero processo dell'attività figurativa il puro vedere e la facoltà di rappresentarsi interiormente le cose vedute sono soltanto un inizio, un punto di partenza, mentre il vero sviluppo ed il compimento di quel processo è legato all'attività figurativa esterna."
(Konrad Fiedler, "Sull'origine dell'attività artistica")

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