di Silvia Chessa
Il paradigma di Hanna Glawari e di Danilo Danilowitsch - che dissimulava il suo innamoramento come
lei il suo - è talmente affascinante che ci potrebbe fare cadere nel favoloso
tranello, illudere che tutto sia possibile e risolvibile, in fondo, mentre
cadiamo nelle lusinghe acustiche di voci, strumenti, di danza canto, costumi e
scene incantevoli e dinamiche. E mentre ci inerpichiamo nelle complicazioni
della trama, fra intrighi internazionali, tradimenti, riscatti sociali e una
serie di schermaglie amorose che andranno, però, a buon fine.
L’operetta, nella sua irresistibile varietà e vivacità
espressiva è così: inganna e insegna al contempo. In verità non è così la
storia, penso, gli equilibri sociali sono instabili e l’amore è come la tosse,
che non la puoi reprimere, non a lungo, se non soffocandoti.
E il lieto fine, il coronamento del sogno, quando tutto
sembrava compromesso, poi, non a tutti è dato: i treni persi, si sa, restano
persi.
Infatti, fra i treni persi ascrivo, e mi duole, il non avere
una profonda e specifica conoscenza di storia della musica, e non avere
abbastanza tempo davanti per recuperare le gravi lacune del mio sapere zoppo,
che non riesce a discernere, a colpo sicuro, note, passaggi e stilemi in un
ascolto a teatro. Ma la Fenice compensa accattivandosi lo sguardo prima degli
altri sensi, e così basta semplicemente lasciarsi andare e sentirsi parte di un
meccanismo avviato perfettamente verso la bellezza.
Per pregustare alcune piccole perle ermeneutiche della
Vedova allegra che si tiene stasera alla Fenice di Venezia, mi è valso
ascoltare le risposte del Direttore artistico Stefano Montanari, intervistato
in precedenza dello spettacolo, in radio, pensiero chiaro e sostanzioso: mi ha
stregata il suo modo di gestire onestamente questo classico e di ravvivarlo
senza snaturarlo.
Ha voce composta, da persona spiritosa e vivace, il suo
registro è di un serio tendente al sorriso.
Ho apprezzato molto che dicesse, dell'operetta, che è
complessa da affrontare in quanto è lieve solo in apparenza, e che le parti che
lo hanno attratto e commosso di più, e verso le quali lo stile della sua
direzione ha inteso orientare la sensibilità del pubblico, non sono quelle
leggere - simil effimere- ma quelle più malinconiche. Per esempio dove il canto
si può dispiegare in modo più libero ed esteso.
Mi ci ritrovo, in questo orientare l'opera artistica verso il “fuori contesto”, in
questo caso il momento pacato e lento, rispetto al genere apparentemente lieve
e spensierato.
C’è dinamismo anche nel rallentare. Nel collocarsi,
originalmente, sul registro della malinconia, della quale la lettura, per me,
più calzante e fascinosa ascoltata di recente (in televisione, dalla voce di
Carla Bruni) è la seguente:
La malinconia si distingue dalla tristezza, (perentoria, da
subirsi e basta) e la si potrebbe definire come quel sottile piacere di stare
tristi. Quasi una scelta. Quasi una vedovanza. Ma molto rock.
Venezia, Teatro La Fenice
DIE LUSTIGE WITWE
(LA VEDOVA ALLEGRA)
Operetta in 3 atti di Victor Léon e Leo Stein
Musica di Franz Lehár
Direttore: Stefano Montanari
Regia: Damiano Michieletto
Scene: Paolo Fantin
Costumi: Carla Teti
Light designer: Alessandro Carletti
Coreografia: Chiara Vecchi
Hanna Glawari, Nadja Mchantaf
Conte Danilo Danilowitsch, Christoph Pohl
Valencienne, Adriana Ferfecka
Kromow, Willam Corrò
Baron Mirko Zeta, Franz Hawlata
Visconte Cascada, Simon Schnorr
Camille de Rossillon, Konstantin Lee
Raoul de St Brioche, Marcello Nardis
Bogdanowitsch, Roberto Maietta
Sylviane, Martina Bortolotti
Olga, Zdislava Boková
Pritschitsch, Nicola Ziccardi
Praskowia, Daniela Baasová
Niegus (ruolo parlato), Karl-Heinz Macek
Lolo, Alessandra Calamassi
Dodo, Mariateresa Notarangelo
Jou-Jou, Rossella Contu
Frou-Frou, Alessandra Gregori
Clo-Clo, Chiara Lucia Graziano
Margot, Krizia Picci
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice di Venezia
direttore, Stefano Montanari
regia Damiano Michieletto
maestro del Coro, Claudio Marino Moretti
scene, Paolo Fantin
costumi, Carla Teti
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