nota di Davide Pugnana
Torno spesso a rileggere i brevi saggi che compongono "Il brusio della lingua". Potremo dire che il privilegio della rilettura sia la scrematura ragionata della materia: abbracciando nella mente l'intero paesaggio del libro, sappiamo dove e come muoverci; ci autorizziamo a saltare alcuni passaggi per ragioni 'di gusto'; evitiamo gli ingorghi del traffico e le zone turistiche, per ritrovarne altre, isolate e remote, più intatte e nascoste, come fanno gli habitué scaltriti spingendosi fuori dal centro.
Mi soffermo così su quei capitoli che, raccolti a fascio, finiscono per formare un autentico 'diario di un lettore di romanzi'. Ne assaporo l'intelligenza critica contro il palato come fosse la prima volta.
Barthes dedica pagine indimenticabili alla vita dei dettagli romanzeschi, a quegli "effetti di realtà", apparentemente insignificanti nell'economia della narrazione, che siamo soliti tralasciare a favore dei grandi nodi dinamici della trama: che funzione ha il "barometro" flaubertiano collocato nella sala di Madame Aubain, sopra il pianoforte? E come dovremo leggere gli ultimi istanti di vita di Charlotte Corday descritti da Michelet, quando, a un tratto, egli ci racconta la visita di un pittore che fa il ritratto alla donna, precisando che "dopo un'ora e mezzo qualcuno bussò dolcemente ad una porticina che si trovava dietro di lei"? Ma il punto di approdo privilegiato di questo itinerario rimangono le pagine su Proust, dalle quali affiora il grande tema della Recherche: la ricerca della scrittura come "desiderio" di scandaglio e verifica della propria vocazione artistica:
"Sarà piuttosto, se volete: Proust ed io. Che pretesa! [...] Vorrei suggerire che, paradossalmente, la pretesa cade dal momento stesso in cui sono io a parlare, e non qualche testimone: perché, disponendo su una stessa riga Proust e me stesso, non voglio affatto dire che mi paragono a questo grande scrittore, ma, in un modo del tutto diverso, che mi identifico con lui: confusione di pratica, non di valore. Mi spiego: [...] nel romanzo, ad esempio, mi sembra che ci si identifichi più o meno (intendo dire a tratti) con uno dei personaggi rappresentati; questa proiezione, credo è la molla stessa della letteratura; in alcuni casi marginali, però, quando il lettore è un soggetto che vuole a sua volta scrivere un'opera, questo soggetto non si identifica più solo con questo o quel personaggio fittizio, ma anche e soprattutto con l'autore stesso del libro letto, in quanto ha voluto scrivere quel libro e c'è riuscito. Proust, dunque, rappresenta il luogo privilegiato di tale identificazione particolare nella misura in cui la Recherche è il racconto di un desiderio di scrivere: io non mi identifico con l'autore prestigioso di un'opera monumentale, ma con l'artigiano, talvolta tormentato, talvolta esaltato, comunque modesto, che ha voluto intraprendere un compito che, sin dall'origine del suo progetto, ha conferito un carattere assoluto."
Roland Barthes. Il brusio della lingua. Einaudi
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