27 marzo 2018

“La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead


   
di Laura Menesini

La ferrovia sotterranea, negli Stati Uniti, indica la rete di persone abolizioniste che, nel secolo XIX, aiutavano i neri a fuggire verso il nord e la libertà. 
A prima vista ti dici che abbiamo già visto e sentito tante di queste storie, letto e visto nei film la brutalità dei sorveglianti nelle piantagioni del sud, ma quando lo prendi in mano ti trovi davanti un'eroina che, in mezzo alle più terribili tragedie, è fiduciosa nel futuro, è piena di speranza.

Whitehead  personifica la rete abolizionista con una ferrovia reale che corre nel sottosuolo, con tratti fumosi e pieni di caligine, macchinisti e operatori fantasmi.   Servendosi di tale ferrovia la nostra eroina Cora fugge con un amico da una piantagione della Georgia dove i neri sono soggetti a condizioni di vita inaudite e inumane, ma trova anche negli altri stati una brutalità da film di Quentin Tarantino e proprio come un film di Tarantino il libro ti appassiona e ti lascia senza fiato e senza la possibilità di interromperlo o di posarlo un attimo.

La insegue e persegue un cacciatore di schiavi ambiguo e antipatico, perché la legge permetteva di recuperare i propri schiavi fuggiti anche a migliaia di chilometri e in stati abolizionisti.
Lo stile è semplice e scorrevole, le frasi non sono lunghe o contorte, così come i dialoghi sono brevi e taglienti.

Tra le mille peripezie di Cora vediamo un'America lacerata, in cui non ti puoi fidare veramente di nessuno, in cui i più poveri e ultimi della società sono pronti a sfogare sui neri le loro frustrazioni e a prendersi su di essi le loro rivincite. Un' America in cui il “divertimento” del venerdì sera consiste nell'imitazione sguaiata dei neri e nella loro effettiva, reale impiccagione.

L'autore, un nero di New York, ci vuole appassionare certamente, ma ci vuole anche far capire come le storie si ripetano, come il desiderio di rivincita degli ultimi trovi uno sfogo solo nella violenza a danno di chi è ancora più indietro   nella piramide sociale, sì perché la piramide esiste ancora ed è ancora più forte e i capponi del Manzoni sono ovunque.

Colson Whitehead “La ferrovia sotterranea”       Ed. SUR


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