27 febbraio 2025

"La malinconia di Maigret, uno come noi" di Luciano Luciani

 


      


               Nella storia del romanzo poliziesco la Grande Svolta avviene a ridosso degli anni Trenta, grazie alle opere di Georges Simenon che riescono a compiere una duplice operazione: riscattare il romanzo poliziesco dalle critiche, tanto facili quanto diffuse, di imbecillità stilistica ed emanciparlo dalla fama di essere una letteratura dai contenuti solo violenti e volgari. Il lascito più importante del torrentizio letterato francese è stato, infatti, quello di essere riuscito a far leggere il poliziesco anche a quel pubblico colto che si era sempre vantato di non aver mai letto una pagina di letteratura ”di genere” e di opere “paraletterarie”.

      Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) è stato uno scrittore destinato a influenzare il romanzo poliziesco per oltre mezzo secolo e a esercitare sulla sua trasformazione un peso pari, se non maggiore, a quello dello scozzese Arthur Conan Doyle (1859-1930), il “babbo” di Sherlock Holmes e del dottor Watson suo aiutante e cronista, e dello statunitense Dashiell Hammet (1894-1961), creatore dell’investigatore Sam Spade, in pagine ammirate dai contemporanei, non ultimo da Ernest Hemingway, per una scrittura diretta e incisiva. Anche Simenon è un “forzato della penna” - come i grandi scrittori d’appendice, Balzac, Zola e, si parva licet, Maurice Leblanc e la coppia Allain-Souvestre rispettivamente inventori di Arsenio Lupin e Fantomas – ed è autore di non meno di cinquecento romanzi, solo settantasei dei quali - insieme a ventotto racconti - appartenenti alla serie di Maigret. Oggi, comunque, il letterato belga è conosciuto universalmente e quasi esclusivamente per essere il creatore del celeberrimo commissario parigino della Prima Brigata Mobile, uno dei più noti personaggi della narrativa cosiddetta “gialla”.

     Gran parte del fascino, ancora attuale, di Maigret non risiede solo nella malinconia di cui è intriso il personaggio, ma soprattutto per il suo metodo d’indagine: quel suo calarsi nell’atmosfera del delitto, quel sapersi immedesimare nei pensieri e nei sentimenti della vittima e del colpevole anche quando quest’ultimo non ha ancora un’identità, fin quasi ad appropriarsene in virtù di uno specialissimo rapporto empatico che il commissario parigino riesce a stabilire sempre, tra lui, imperterrito cacciatore della verità, e la sua preda, l’autore del crimine.

    Simenon si fa apprezzare più nel definire le ambientazioni che nello strutturare le trame. I suoi interni provinciali e piccolo borghesi, le sue atmosfere familiari, i suoi bozzetti di vita urbana e rurale, sempre improntati a un grigio e pacato naturalismo, tendono a persistere nella memoria più a lungo di tante cervellotiche architetture delittuose. “Io non penso mai”, dice talvolta Maigret; “Io non tiro conclusioni”; o anche “Io non ho idee”. Talvolta la consegna del colpevole alla giustizia è del tutto secondaria e Maigret sembra rassegnarsi al ruolo di poliziotto proprio perché non può proprio farne a meno. Dalle prime inchieste Pietr Le Letton, 1929, L’affaire Saint-Fiacre, 1932, Le testament Donadieu, 1937, Maigret è rimasto immutato come la sua Parigi, anche se nel corso dei decenni il personaggio si è fatto più maturo e amaro: la miseria morale lo turba nel profondo come un elemento che mortifica la dignità dell’uomo e ne accentua un sentimento di solitudine esistenziale di fronte all’ennesima vicenda che gli ripropone, ancora una volta e una volta di più, il tema della tossica invincibilità del male.

 




25 febbraio 2025

"Cassa 19" di Claire-Louise Bennett

 



di Giulietta Isola

Alcune parole scritte sono vive, attive, palpitano – esistono in tutto e per tutto nel presente, lo stesso presente in cui esistiamo noi. In effetti sembra che vengano scritte mentre le si legge, sembra addirittura che sia il posarsi dei nostri occhi sulla pagina a farle apparire, e comunque certe frasi non sembrano per nulla separate da noi o dal momento in cui le leggiamo. Si ha la sensazione che non esisterebbero se noi non le vedessimo. Che non esisterebbero senza di noi.”

E’ stato molto difficile scrivere queste note perché non sono sicura di aver capito cosa ho appena terminato di leggere, sono assai confusa, ma per me la confusione non è necessariamente una cosa negativa, a volte mi aiuta a riflettere più profondamente. Ho letto che molti i critici e letterati sostengono che un buon libro non dovrebbe affatto essere chiaro né esposto alla luce del sole. A me che sono semplicemente lettrice che sforzo è richiesto? Lessi Stagno e mi piacque molto, questo sempre con la traduzione di Tommaso Pincio, sfugge a qualsiasi definizione, la storia passa in secondo piano lasciando la scena ad un linguaggio decisamente potente. Mi sono fatta portare senza sapere dove da pagine che hanno l’immediatezza della vita nel momento stesso in cui accade ed anche prima si riesca a darle un senso. 

Semplicisticamente potrei definire questo libro una educazione intellettuale , si citano moltissime scrittrici di varie epoche ed incongruamente la protagonista non legge di libri di donne perché “le fanno venire i nervi”. Eh si la protagonista…è una ragazza di cui non conosciamo il nome a cui piace molto leggere . La seguiamo all’università attraverso il suoi pensieri, i libri, la scarsità di soldi, le case che cambia, i ragazzi che frequenta ed il suo lavoro alla cassa 19 di un supermercato. Vive a Londra, ma viene da un paesino della provincia. Studio e lavoro sembrano essere solo “il contorno” delle sue giornate, lei legge e legge tanto. Ci fa una lista delle letture, crea per noi una strana guida letteraria che ci permette di raccogliere inconsapevolmente tante informazioni letterarie, scrittori e scrittrici, titoli che ci chiamano, ci attraggono fascinosamente. 

In Cassa 19 il libro è vivere, un nutrimento essenziale che stimola l’immaginazione della protagonista. Lei si nutre di libri e i libri nutrono la sua vita, le storie diventano la sua vita tanto da desiderare di assorbire le storie dentro di sé. Inutile dire che in molte cose mi sono ritrovata, trovo rassicurante essere circondata dai libri, posso prenderli in mano e guardarci dentro , porto talvolta la letterarietà nella mia vita, ma la prima metà di questo libro mi ha annoiato senza capire perché visto che amo la sperimentazione. Poi piano la nebbia si è diradata ed il ritmo si è fatto fluido, ho pensato di leggere un libro che è come un puzzle nel quale sono presenti molti aspetti della nostra vita , ho capito che Claire-Louise Bennett mi vuol far sentire i personaggi attraverso le parole, è attentissima a cercare la qualità di ciascuna parola e la sua vibrazione, descrive con precisione quello che vede e che sente, e se la trama è ingarbugliata e quasi ostile qui quello che conta non è la vita della protagonista, sono i libri, è il suo leggere e poi il suo scrivere che, come afferma, la fanno vivere, che costituiscono la sua vita e si insinuano nella storia del romanzo. 

E’ così che Cassa 19 diventa un po’ il manifesto di chi come me ha bisogno di leggere, non deve leggere, ne ha bisogno come ha bisogno di respirare, ha bisogno di cercare il libro perfetto, di sfogliare con cupidigia per trovare quello unico quello che cambierà la vita. Cassa 19 è una magia che non sono risuscita a descrivere.

CASSA 19 di CLAIRE-LOUISE BENNETT BOMPIANI EDITORE

 

21 febbraio 2025

"Kafka" di Gianni Quilici

 


KAFKA

Aveva chiesto che la sua opera

fosse distrutta.

 Dubitava dei suoi romanzi?

Di sé? 

Dubitava di coloro che lo avrebbero letto?

Degli altri?

 

Non sappiamo con quanto coraggio

con quanta sincerità

volesse comunque sparire

 

Oh potesse sapere

 per qualche impossibile miracolo

 che è stato kafka e continua ad esserlo

uno dei simboli più penetranti

dei nostri Tempi

19 febbraio 2025

"Né qui Né altrove" di Gianrico Carofiglio

 

di Marigabri

"E poi proseguii, in una sequenza sconnessa, chiedendomi quando era stata l'ultima volta che avevo fatto una cosa per la prima volta. Non trovai una risposta e persi l'equilibrio fra i pensieri. Mi sarebbe accaduto altre volte, quella notte."


Una improvvisa rimpatriata di vecchi amici coglie il protagonista di sorpresa. Sono tutti e tre uomini maturi e le scorribande da liceali, prima, e da universitari, poi, sembrano sogni sbiaditi e ormai lontani.

Giampiero, che appartiene a una facoltosa famiglia di notai, è diventato notaio a sua volta; Paolo, inaspettatamente, è emigrato in America,si è trasferito nei dintorni di Chicago, dove insegna all’università; il narratore è lo scrittore di successo che conosciamo.

All’inizio tutto sembra un po’ forzato e un po’ fasullo e a cena i tre si ritrovano a parlare senza dirsi granché, con qualche imbarazzo e molta reticenza, ma la situazione cambia quando si spalanca davanti a loro la Bari notturna con luoghi densi di ricordi e altri ormai scomparsi o completamente trasformati rispetto ai tempi della loro giovinezza.

Un po’ alla volta emergono i ricordi, si allentano le tensioni, si sciolgono le resistenze e, complice l’alcol, si apre uno spazio inedito di confidenza. Dove non ci sono soltanto le piacevoli esperienze condivise: ci sono anche i rancori covati per anni, c’è il non detto e rimuginato a lungo, ci sono le nascoste e sepolte nostalgie …

Il tutto si svolge in una sorta di autocoscienza maschile che cresce con il procedere della notte e l’inesorabile avvicinarsi, per Paolo, dell’ora del ritorno.

La topografia di Bari, il suo tessuto sociale, i suoi cambiamenti sono protagonisti altrettanto intensi e vivaci delle voci dei tre amici, del loro revival, e delle riflessioni personali del narratore.

Il profumo della focaccia barese corona questo tour della memoria, dove l’olfatto si conferma dei cinque sensi il più evanescente e il più categorico.

La scrittura di Gianrico Carofiglio come sempre è agile, ironica e introspettiva mentre va esplorando, contemporaneamente, le strade della sua città e quelle, altrettanto notturne, della propria interiorità.

E tutto si era svolto in quella trama di strade squadrate regolari nelle quali, in certi pomeriggi d’estate, quando c’era il maestrale, e l’aria era nitida, ogni angolo sembrava il punto di fuga verso l’infinito pieno di promesse“.

Gianrico Carofiglio. Né qui Né altrove. Laterza