di Marigabri
Siccome Paolo Nori scrive come parla è senz’altro bello leggerlo, ma ancor più bello è ascoltarlo, quando racconta i suoi testi con quella naturalezza, quella cadenza emiliana, e più precisamente parmigiana, ammaliandoci con guizzi creativi, digressioni infinite, e soprattutto con il suo incondizionato amore per la letteratura. Non tutta, quella che piace a lui, quella che lo appassiona (gli scrittori russi in primis).
Qui è alle prese con un’altra biografia: dopo gli amati Dostoevskij e Achmatova, ecco l’altrettanto amato poeta romagnolo, perlopiù ignorato, Raffaello Baldini. Anche se, e conoscendo un pochino Nori lo sappiamo, i suoi non sono ritratti in forma classica. Le sue biografie sono sempre, anche, autobiografie.
E infatti:
“Parlo, di Raffaello Baldini, ma parlo anche di me, e della mia vita, e dei miei genitori, e di mia figlia, e della mamma di mia figlia e anche di mia nonna Carmela.”
La sorprendente forma ibrida che caratterizza lo stile dell’autore ogni volta ci sorprende, ci diverte, ci entusiasma, anche un po’ ci immalinconisce, e certo ci fa pensare.
Di Raffaello Baldini, poeta che scrive in dialetto e poi traduce se stesso in un italiano mirabile conosciamo frammenti di vita, stralci di scrittura, aneddoti.
La grandezza di Baldini, la grandezza della letteratura grande, in genere,
secondo Paolo Nori è che questi autori
«fanno vedere le cose che sono in casa mia, che mi circondano, come se le
vedessi per la prima volta, non rendono visibile l’invisibile, rendono visibile
il visibile».
Geniale. (E penso a Wislawa Szymborska, per esempio).
Perché, in fin dei conti, la letteratura ha poco a che vedere con la ragione. Come disse Josif Brodskij il compito dell’intellettuale è quello di scrivere delle cose belle. Punto.
E, ne sono certa, è la bellezza che salverà il mondo.
Paolo Nori. Chiudo la porta e urlo. Mondadori
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