di Gianni Quilici
Primo: un euro soltanto per questo intervento dal vivo di Jean Genet in versione originale, tradotto a fianco da Marco Dotti.
Secondo: la registrazione pietosa e impietosa, cioè vera, del massacro a Chatila il 16 e 17 settembre 1982. Genet riesce ad entrare nel campo dei cadaveri due giorni dopo: il 19 settembre.
Scrive:
"Ma quante mosche! Se sollevavo il fazzoletto le disturbavo. Inferocite dal mio gesto, arrivavano a sciami sul dorso della mia mano, cercando nutrimento. Il primo cadavere che ho visto è stato quello d'un uomo di cinquanta, sessant'anni. Avrebbe avuto una corona di capelli bianchi se uno squarcio (un colpo d'ascia, mi è parso) non gli avesse aperto il cranio. Una parte nerastra del cervello era a terra, accanto alla testa... Il corpo era accasciato in un mare di sangue, nero e coagulato"
Terzo: l'amore verso i fedayn, uomini e donne, che gli sembrano bellissimi, perchè stanno
attraversando un processo liberatorio.
Scrive: "Una rivoluzione non è tale quando non ha fatto cadere dai volti e dai corpi la pelle morta che li avviliva. Non sto parlando di una bellezza accademica, ma dell'impalpabile -innominabile- gioia dei volti e dei corpi, delle grida, delle parole che là finiscono di essere morte ...".
Infine: Genet introduce nella sua scrittura continui punti di rottura cronologi e stilistici come se la vita fosse più irruenta della scrittura stessa.
Quattro ore a Chatila (Quatre heures à Chatila) di Jean Genet. Stampa alternativa. Pag. 63. € 1.