04 gennaio 2009

"La moglie di don Giovanni" di Irene Némirovsky


di Gianni Quilici

In questo racconto lungo ( o romanzo breve?) Irene Némirovsky utilizza nuovamente come in Come le mosche in autunno una vecchia (così si percepisce lei) domestica. In questa storia, però, questa diventa l'io narrante attraverso una lettera, che la donna scrive, a più riprese, alla bambina di allora, oggi diventata donna e madre di due figli.
Lo scopo: svelarle un terribile segreto sulla sua famiglia, di cui soltanto lei è a conoscenza e di cui sono testimonianza alcune lettere, che ora, giunta ad una fase critica della sua vita (deve operarsi per un tumore), ha il dovere di farle avere.
Il segreto terribile riguarda la mamma e il babbo della ragazza, nel frattempo morti. Lui bellissimo e seducente; lei bruttina e insignificante, ma ricca....

La Némirovsky ancora una volta solleva il velo e scopre dietro le apparenze la realtà. Noi intravediamo, quindi, chi è lei, la mamma della ragazza, la moglie di Don Giovanni, la vittima dei tradimenti, la martire.

Però la vera protagonista, ciò che dà originalità a La moglie di don Giovanni è la domestica. La Némirovsky si cala dentro il personaggio ne assume cultura, linguaggio, convinzioni. Ed è la visione del mondo di chi, trovandosi ad un livello subordinato, osserva questo ambiente aristocratico-borghese con distacco e insieme anche con affetto maternalistico e fideistico, ma sempre senza veli moralistici, con una saggezza di tipo popolare.
“Bisogna tenere vivi anche i ricordi tristi, se si può. Quando si è vecchi o malati come sono io, e non si può più lavorare, pensare al futuro è troppo triste. Ed allora che cosa faremmo, Vergine Santa, se non avessimo niente da ricordare?”

Giustifica lui, di cui percepisce ella stessa il fascino, perché lo sente anche buono; comprende lei, di cui conosce la disperazione di fondo. Critica invece l'ambiente che vive intorno a loro, sopratutto le donne. «Tutte quelle signore che la compativano e dicevano che era una Martire l'avrebbero fatta a pezzi come tante cagne, perché è così che le donne sono spesso l’una per l’altra».

Al fondo di questo racconto, come nei grandi romanzi, c'è la vita come precarietà nella sua (desolante) finitudine. E infatti: lui, il Don Giovanni, bellissimo e seduttivo non c'è più, come pure la moglie; la domestica più che una lettera sembra scrivere un testamento e la bambina-donna è fuori campo, esiste come un fantasma, che si porta, forse, una tragedia sulle spalle.

Irène Némirovsky. La moglie di don Giovanni.Biblioteca minima, traduzione di Laura Frausin Guarino, a cura di Giorgio Pinotti 2006 , pp. 63 euro 5,50.