E' esalato il tempo
dei vergini giochi
Rimane un dolore ridicolo
come un abito fuori moda
e spauriti desideri sopravvivono
al tormento del giorno
Da questo solitario anfratto
osservo
ad uno ad uno
i cocci variopinti
del mio testardo esistere
Ho dovuto nutrire una nidiata di sogni!
Che non si affretti l'alba
a ricondurmi
al compromesso.
" Leggiamo questa poesia di Simona Fazzi.
Funziona? Sì, basta leggerla per “sentirla”.C'è un passato: i “vergini giochi”, di cui vediamo la meraviglia negli occhi che scoprono per la prima volta il creare e il creato. E però questo tempo è “esalato” (si noti la sottile bellezza del suono) ed il dolore che ne rimane è ridicolo, fuori da questo tempo.
Prima osservazione: non c'è nei versi nessuna nostalgia consolatoria.
C'è il flusso del presente: il “tormento del giorno” ( fatica e responsabilità, fallimenti e paure quotidiane), in cui sopravvivono “spauriti desideri”, desideri, cioè, così fragili, quasi spaventati di mostrarsi. Seconda osservazione: esiste tuttavia una dialettica, qualche desiderio, sia pure nascosto, incerto di se stesso.
C'è poi lei, il suo sguardo fermo e solitario, che osserva la sua esistenza trascorsa a distanza, da lontano. Per un attimo si può pensare al “passero solitario”, che contempla le rovine (“i cocci”), ma anche le bellezze o le illusioni (“variopinti”) di un'esistenza che non si rassegna (il “mio testardo esistere”).
E c'è infine il proposito, cioè la proiezione del presente sul futuro: non accettare compomessi, mantenere, nutrire, rinnovare quella “nidiata di sogni”, che fermentano nel fondo di noi ( “covano”).
Se ri-leggiamo la poesia, se la incameriamo, ogni verso acquista una sua andatura, una sua scansione ritmica, ogni strofa contiene un salto di significato, quindi un suo naturale stacco, un suo necessario montaggio.
Ci sono figure retoriche efficaci: la similitudine (“come un abito fuori moda”), l'ossimoro (“cocci variopinti”), metafore (“nidiata di sogni”, “solitario anfratto” “l'alba”).
Ed infine una serie di sentimenti o di condizioni esistenziali ed il controllo di essi (la nostalgia e la sua negazione, il dolore di vivere e i sogni, la determinazione e la ricerca di un'integrità morale con se stessi) lasciano trapelare una personalità complessa.
Ho chiesto a Simona Fazzi, che è nata e vissuta nei paesi della piana lucchese, di darci di lei qualche informazione, per così dire, “libera”. Ecco la sua risposta.
“Il mio nome non mi parla; è una cosa strana il nome. Quando mi presento esce fuori come una qualsiasi altra frase di circostanza. 'Ciao sono Simona ho 39 anni; faccio la barista...Piacere'. Mi viene naturale concentrarmi sempre su qualcos'altro... Questo vale anche per i nomi degli altri; devo fare uno sforzo per impararli. Ascolto un numero di una targa, un codice fiscale... Essi transitano in me, oggetti sopra un nastro, come attraverso uno strano marchingegno... Vengono afferrati, rimpastati, ricomposti, colorati.. E poi escono vivi, profumati. Ad ogni incontro può avvenire un piccolo grande miracolo. Io ti dò un nome e tu fai altrettanto con me. Cosa c'è di più sconvol-gente di un incontro?”
da Arcipelago, rivista dell'Arci di Lucca