Ilaria Sabbatini
Studio sul corpo femminile
Innanzitutto trattasi di “studio” e non di ipotesi, o figurazione, o proiezione. Come se, ed è l’aspetto che più colpisce, Ilaria avesse preso in consegna ciò che resta delle spoglie, o del feto, e l’avesse censito, analizzato, catalogato.
Apparentemente è come se fossero foto segnaletiche di una scomparsa, o meglio del rinvenimento di un cadavere, e infatti il richiamo alla condizione di prigioniera, o alle lettere di condannati a morte durante la Resistenza, stabiliscono il nesso con la morte, intesa come perdita irrisolvibile.
E invece non è così. Lontana da tentazioni di riesumazione o di ri-partenza di una speranza di vita, Ilaria stigmatizza semplicemente il segno di un’era, oscena, ma nella quale resiste l’icona del dolore che, come si sa, è il viatico più accreditato per la felicità.
Sublime la corrosione del tempo, dell’ideale, ivi compresa la morte come riscatto, del silenzio come onore alla causa, del desiderio martoriato e resuscitato. Eccitante, quindi, per interposta fede, nel rispetto della forma vergine.
Come dire che il vessillo della femminilità, in questo caso, perché esiste anche uno studio al maschile, ma il discorso cambia nonostante le similitudini, si consacra nella sua negazione comunque portata, con onore e credito, sebbene l’infamia. Il corpo femminile è uno stilema di vita, un esprit de finesse, anche quando pare avvinta nel mercimonio della decadenza. Questo, ci pare, il risultato primo della Studio di Ilaria, ben oltre il Golem che non ci disturba, anzi, ci protegge dalle iatture della società del domani.
Femminart. Benvenute in un mondo a pArte