Il romanzo scandalo di Jonathan Littel “Le benevole”, vincitore del Prix Goncourt nel 2006, è anche un grande romanzo storico di stampo tardo-ottocentesco, con tanto di citazioni interne (Tolstoj, Dostojewski, Flaubert), che descrive, sulla base di una straordinaria documentazione storiografica, l'apoteosi autodistruttiva del Terzo Reich, cioè l’invasione dell’Unione Sovietica, la Shoah, i bombardamenti di Berlino e la disfatta finale.
Littel ricostruisce minuziosamente non solo l’impianto ideologico del nazismo, esito finale del romanticismo e dell’idealismo tedesco, ma soprattutto la vita reale nelle organizzazioni militari e burocratiche impegnate con logiche che oggi diremmo aziendalistiche, in una doppia missione, bellica e genocida.
La forza di questo romanzo, che lo rende grande non solo per la mole (quasi mille pagine) sta proprio nella capacità naturalistica di tradurre in scrittura le copiose immagini documentaristiche (ad esempio il definitivo Shoah di Lanzamann) sulle atroci azioni naziste che tutti abbiamo visto e rivisto, ma mai abbastanza: la scrittura aggiunge alle immagini sensorialità tattili, olfattive, cenestesiche di chi si trovò, dissociando ogni volontà critica, a compiere i maggiori crimini compiuti dagli uomini contro gli uomini: maggiori sia per entità, con la necessità della trasformazione delle pratiche artigianali delle Aktionen e delle Einsatzen dell'ordine delle centinaia o delle migliaia, nei metodi industriali dei campi di concentramento, delle camere a gas e degli inceneritori, dell’ordine delle centinaia di migliaia e, complessivamente, dei milioni. Accanto alle azioni vere e proprie, l’ apparato nazista non ha cessato di celebrare i suoi metodi e i suoi rituali (le onorificenze, le promozioni, le procedure burocratiche, i regolamenti, la legge marziale) neppure sotto i bombardamenti alleati, nella Berlino che continuava incredibilmente a vivere pur perdendo parti sempre più estese della sua struttura urbana, né durante i patetici e tragici tentativi di evacuare i campi di concentramento nell’illusione di nasconderne le tracce alle inarrestabili truppe sovietiche.
E’ proprio nel contrasto tra l’altezza esaltata dell’ideologia e le sue tragiche e inopinate concretizzazioni, la carneficina, le epidemie, la denutrizione, le morti per fame e freddo non solo dei lavoratori-schiavi dei campi ma delle stesse truppe tedesche, inviate nei territori sovietici, le rappresaglie, le manifestazioni inumane degli sbandati, la distruzione radicale di un’intera nazione, che si coglie in questo romanzo come non mai la verità tragica del fallimento di un utopia, il dramma a perenne memoria di questa estrema ideologia di massa. E’ proprio perché tutto questo è accaduto con la partecipazione condizionata ma anche appassionata di un popolo e di persone dotate di intelligenza, cultura, sensibilità, buona educazione, cioè di tutti gli strumenti necessari per comprendere quello che facevano, che il romanzo trascende la dimensione storica acquisendo quella della tragedia universale. Forse il maggiore merito del libro è proprio quello di mostrare dettagliatamente la tragica distanza tra le idee che muovono la storia e ciò che gli individui si trovano a fare e fronteggiare nella loro messa in atto; questa distanza totale non riesce peraltro a distruggere la fede nelle idee, a indurre una critica e, di conseguenza, una trasformazione nel comportamento. E' questo che, esemplificato al massimo nel nazismo, rappresenta un motivo di riflessione di ordine universale, che ci riguarda tutti, come scrive l’io narrante-Littel nella introduzione.
Tuttavia Littel, non accontentandosi di questa strabiliante e maniacale dimensione storica, ha strafatto nel contaminarla con dimensioni interpretative e narrative di ispirazione psicoanalitica, non meno estreme della componente storiografica. Infatti l’Io narrante, l'ufficiale SS Maximilian Aub, è una figura complessa, da un lato costruita come archetipo della coscienza dissociata dei nazisti, dall’altra capace di una lucida consapevolezza, espressione dello sguardo a posteriori dell’autore. Queste contaminazioni fanno di questo romanzo una parodia grottesca delle asettiche memorie dei criminali di guerra.
L'io narrante è di madre francese (Littel, figlio d’arte, è un ebreo americano che ha scritto il romanzo in francese ed ha ottenuto, dopo la pubblicazione ed il grande successo del libro, la nazionalità francese); ha dell’autore l’intelligenza, la cultura raffinatissima e una sensibilità che gi consentono di poter capire e giudicare ragionevolmente e correttamente tutti gli altri ufficiali e perfino i gerarchi maggiori del nazionalsocialismo e lo stesso Führer, tutte figure assai mediocri al suo confronto, eccetto forse Speer. Pur rendendosi conto e somatizzando il disgusto per quanto gli viene chiesto di fare, lo fa comunque, non tanto obbedendo agli ordini, quanto facendo proprio, come una sorta di astratto e superindividuale imperativo categorico, il disegno astratto e delirante plasmato dai deliroidi pseudoscientifici e, pseudopolitici post-idealistici, ma anche post-darwinisti, di Hitler, Himmler & Co. Questo “Uomo senza qualità” si trova a realizzare effettivamente tutto ciò che la promessa del Reich millenario gli richiede. Perchè lo fa? Aub è, come l'Ulrich di Musil, un uomo pronto a realizzare ogni possibilità, non avendo alcuna identità personale, tuttavia queste possibilità, man mano che i suoi stati confuso-onirici e dissociati si fanno più frequenti, comprendonoil semplice intellettualismo di Ulrich, i maggiori tabù ebraico-cristiani: l’incesto, il matricidio, gli omicidi a freddo, l’omicidio di chi gli ha salvato la vita. Non è più l’esecutore decorato di crimini collettivi, ma si rende via via sempre più autore di crimini del tutto personali, inapparenti solo perché si confondono con la carneficina generalizzata, alla quale lui stesso scampa per puro miracolo più volte. L’unico delitto che non compie è lo stupro, ma solo perché gli è interdetto. Come Ulrich anche Aub ha una sorella gemella con cui è legato da un rapporto regressivo, simbiotico, incestuoso e atemporale; ma l’incesto illibato di Musil diventa qui ossessione erotica perversa, ridondante, iperbolica fino alla scatofagia. Questa complessualità impedisce a Aub di avere una reale identità sessuale e soprattutto di aborrire ogni contatto con la femminilità che non sia quella della sorella ormai refrattaria alle sue spinte regressive concrete. Aub è' inoltre alla ricerca di un padre, scomparso nel nulla quando lui era ancora piccolo, che scopre essere stato uno spietato carnefice nei ranghi della Wehrmacht della prima guerra mondiale. Non può perdonare alla madre di essersi realisticamente rifatta una vita, e la uccide insieme al secondo marito, ma senza rendersene conto. La figura di Aub, nei suoi aspetti psicologici, è dunque in gran parte una inverosimile costruzione teorica di Littel, un adulto mai uscito dall’onnipotenza difensiva infantile, che non può che percepire come persecutorio tutto ciò che è fuori da questo guscio. Può quindi farsi persecutore senza provare alcuna colpa reale, al massimo le sensazioni sensoriali dello schifo e del disgusto.
Aub non ha neppure una nazionalità, perchè prima del suo iter nazionalsocialista è un francese, e francese ritorna ad essere dopo la Guerra. E’, in sostanza, una personalità mimetica, pronta a tutto proprio perchè priva di una progettualità propria. Quello che la sua coscienza frena, gli stati dissociativi nei quali va via via sempre più incontro, glielo consentono. Del resto la forza e il fascino della storia del terzo Reich è che mai come in quel periodo l’inconscio e l’immaginazione erano al Potere, seppure camuffati e furbescamente celati dai grigi Diktat burocratici. Non essendo mai veramente nato alla vita, Aub non ha neppure paura di morire, ed è solo il destino benevolo (da cui il titolo, che fa riferimento alle Eumenidi che nella Orestiade, la trilogia di Eschilo, sono le Erinni che chiedono vendetta dopo l’ assoluzione del matricida Oreste, ma che Atena persuade a divenire benigne: benevole, appunto eumenidi) a salvarlo, facendolo sopravvivere in una vita totalmente falsa e apparente.
Accanto a Aub, accerchiato dagli sguardi e dagli odori mefitici delle vittime che spiccano tra le migliaia ridotte all’anonimato, ma anche delle improvvisate caserme al fronte, e perfino, da ultimo, del bunker del Führer, operano numerosissimi colleghi che, in una normalità comune ad ogni organizzazione aziendale, pensano soprattutto, spesso da bravi padri di famiglia, alla carriera, al potere e (solo qualcuno) alla corruzione, al denaro e al sesso. Fino in fondo, fino alla fine, senza poter credere di non essere dalla parte giusta e vincente. Se molti degli incontri di Aub con le figure più o meno note del nazismo (Himmler, Höss, Eichmann, Speer, ma nella miriade dei minori non manca proprio nessuno) sono costruiti, sia pure con grande verosimiglianza, a scopo didattico, molti di questi personaggi di contorno si scolpiscono nella memoria in modo indelebile, come il linguista Voss che, essendo uno studioso serio, capisce, studiando l’evoluzione delle lingue caucasiche, quanto siano stupide e false le teorie razziali, oppure come alcune donne pronte ad offrirglisi e a dare figli al Reich pur di fronte alla sempre più forte consapevolezza dell’incombente catastrofe, infine come l vitale amico fraterno Thomas Hauser, che alla fine Aub uccide per impadronirsi della sua falsa identità francese.
Nonostante i molti limiti, come la sostanziale inverosimiglianza della vicenda personale e professionale di Aub, che, senza particolari meriti e senza una reale convinzione, sale fino quasi ai vertici la gerarchia delle SS, l’uso ossessivo delle sigle delle diverse organizzazioni dell’apparato militare e burocratico, e le verticali cadute di gusto, come ad esempio il fumettismo di certe figure, come quella del potente industriale Mandelbrot, degli investigatori Clemens e Weser, e lo scatologismo ripugnante delle descrizioni dei suoi disturbi fisici gastrointestinali, delle fantasie incestuoso-perverse e dei suoi stati confuso-onirici psicoorganici, il romanzo appassiona e si lascia leggere fino alla fine senza soluzione di continuità.
Littel ha voluto urtare, irritare, sconvolgere o si è fatto prendere la mano, oppure l’uno e l’altro? E’ egli stesso un pazzo, come Aub, oppure un furbo calcolatore come Himmler? Oppure, , rovesciandosi nella figura del vendicatore Aub, non potrebbe egli stesso aver perpetrato la sua vendetta ebraica, la sua personale contro-Endlösung? In ogni caso ha dato un contributo fondamentale, impietoso e carnale alla conoscenza della storia del Terzo Reich, su cui ha riaperto, con una salutare scorrettezza politica che solo il romanzo gli poteva consentire, la discussione.
Jonathan Littel. Le benevole. Gallimard, Paris, 2006; tr. It di M. Botto, Einaudi, Torino, 2007 e 2008