Chi si accostasse a Macchinazione celeste di Lucio Klobas cercandovi una storia rimarrebbe deluso.
La storia, in definitiva, non c'è. Ci sono protagonisti emblematici presi dai fumetti o comunque da un immaginario collettivo (l'uomo mascherato alle prese con l'uomo qualunque, l'uomo ombra che combatte l'uomo invisibile, l'uomo fantasma a duello con l'uomo inesistente ecc) in perenne lotta tra loro, con se stessi, col mondo.
Manca la storia come concatenazione di fatti, come sviluppo di psicologie.
Si ha l'impressione che dietro ognuna di queste maschere ci sia in realtà una maschera soltanto: l'autore, con la sua straordinaria capacità di amplificazione immaginativa. Da qui la sensazione di iniziare daccapo ogni volta. Da qui una lettura che procede faticosamente e la tentazione di chiudere il libro una volta per tutte.
Se, tuttavia, sono rimasto coinvolto è per due aspetti: la presenza di uno stile originale ed il senso -qualche volta sofistico- di tante verità.
C'è lo stile che padroneggia una materia difficile con ironia ed inventiva, mescolando naturalismo e visionarietà in una struttura compositiva quasi sinfonica, che tende, cioè, a dilatarsi, lasciandosi andare ad un flusso libero di immagini, concetti, metafore, senza però perdere di logicità.
C'è un senso di verità di molte condizioni psico-ideologiche, che colpiscono per la fulmineità degli accostamenti e la ricchezza lessicale.
E' romanzo? Alfredo Giuliani su Repubblica scriveva di un poema eroicomico in prosa. Può essere vero. Ed appunto Macchinazione celeste, più che letto, va centellinato. Nuoce forse una sovrabbondanza un po' logorroica e compiaciuta dei periodi. Si rischia, forse, talvolta, la ripetizione o la caduta nell'inessenziale.
Lucio Klobas. Macchinazione celeste. Garzanti, 1990.
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