di Mirta Vignatti
Ho letto, dopo tanto parlare
che se n'è fatto, “Parenti lontani” di Gaetano Cappelli. Be', devo proprio
dirlo, una grande delusione. Chi era che pronunciava quel giudizio lapidario su
“La corazzata Potemkin”, Paolo Villaggio? Ecco, userei la stessa frase tale e
quale per questo romanzo (non certo per il film di Eizenstein).
Dopo un inizio passabilmente
gradevole, in cui si comincia a descrivere la triste vicenda del protagonista
rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età e allevato da una nonna
severissima e intrattabile, la narrazione si perde in mille rivoli fatti di
banalità e stereotipi e non si solleva da un registro sgangheratamente comico e
insopportabilmente monocorde.
Qualche scena felice volendo si potrebbe trovare,
di quelle che sarebbero piaciute a un Samperi e che fanno subito pensare a
“Malizia”, come quella del protagonista che ad appena 7 anni si mette a letto
con la cugina già signorinetta,
crogiolandosi nel tepore delle sue enormi tette. Solo che il romanzo di
Cappelli è un continuo inanellare episodi e memorie di questo genere per ben
500 pagine, e credo che questo genere comico-triviale, senza variazioni e
dilatato così a lungo, non possa non finire per stancare il lettore.
Il rischio
è infatti che tutta quella comicità pesante, ripetuta, da caserma, per ottenere
la quale non si tacciono flatulenze, estenuanti attività onanistiche prima,
frenetiche copulazioni poi (ma possibile che in quel paesino della Lucania
tutti -uomini e donne- siano così assatanati e non pensino ad altro?) - finisca
per trasformare il romanzo in un calco delle sceneggiature di quei film con
Alvaro Vitali che fa l'arrapato cronico che guarda le bellone di turno dal buco
della serratura.
Insomma, un libro che ricorda pericolosamente quel clima
pesante, volgare, “zozzo” delle barzellette a sfondo sessuale che si raccontano
studenti brufolosi in piena tempesta ormonale o delle fandonie di cui usavano
vantarsi i militari in libera uscita spacciandole per vere. Per non parlare di
tutti i banali luoghi comuni che infarciscono la parte che si svolge negli
Stati Uniti, una sequela di macchiette logore e davvero improponibili.
Rimane da chiedersi come
Antonio D'Orrico abbia potuto scrivere in quarta di copertina: “Il Grande
Romanzo Italiano esiste e si intitola Parenti Lontani. Lo ha scritto Gaetano
Cappelli” (Le maiuscole sono di D'Orrico). Non dovrebbe bastare essere colleghi
nello stesso quotidiano per abbassarsi a tanta piaggeria. Ne va della propria
credibilità.
Gaetano Cappelli, “Parenti
lontani” - Marsilio 2011.
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