Si
possono scrivere due banalità ricordando Massimo Troisi improvvisamente morto
un giorno –come scherzo beffardo- lasciandoci increduli e tristi?
La
prima banalità: Troisi era buono. La
bontà di chi non si vende, di chi non accetta di consumare il proprio talento,
la propria “diversità” di artista, di chi, utilizzando il proprio successo, non
si è mai abbandonato ai livelli del serial e della pubblicità.
Seconda
banalità: Troisi che pure è stato un buon sceneggiatore, un regista
accettabile, un attore non una maschera, rimarrà nella storia del cinema (non
solo italiano) un attore comico grande soprattutto nei monologhi. A differenza
di Benigni, che esplode subito come una mitragliatrice raffiche di visionarietà
acida e paradossale, Troisi inizia molto più lentamente e quotidianamente come
se raccontasse un semplice fatto ed esplode progressivamente attraverso
un’accumulazione di ondate concentriche, che esasperano il banale “senso
comune”, lo fanno diventare comicità.
Recitazione
logorroica, in cui la mimica e la gestualità si armonizzano musicalmente dentro
questo perenne delirio verbale.
da
La linea dell’occhio n. 19
Anno
1994
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