di Gianni Quilici
Avevo letto anni fa Il
lavoro culturale, gustosissimo, e soltanto ora ho ripreso il suo secondo
romanzo, che ne è la continuazione L'integrazione.
Pure gustosissimo e divertente, ma con qualcosa in più. Sbaglia chi considera Bianciardi, solo o anche soprattutto, come un umorista. Bianciardi non vuole far ridere in sé, è un realista che coglie i fatti a distanza vedendone gli aspetti inconsapevolmente (per i protagonisti) comici. Non c'è deliberata forzatura, ma capacità di rappresentare le convenzioni, le manie, i modelli culturali, di quella particolare fase storica.
Pure gustosissimo e divertente, ma con qualcosa in più. Sbaglia chi considera Bianciardi, solo o anche soprattutto, come un umorista. Bianciardi non vuole far ridere in sé, è un realista che coglie i fatti a distanza vedendone gli aspetti inconsapevolmente (per i protagonisti) comici. Non c'è deliberata forzatura, ma capacità di rappresentare le convenzioni, le manie, i modelli culturali, di quella particolare fase storica.
In questo romanzo, che analizza con feroce divertimento il
mito dell'industria culturale negli anni del cosiddetto miracolo economico a
Milano, con i suoi dirigenti e impiegati, c'è un'amarezza profonda, però appena
sullo sfondo.
Marcello, l'intellettuale non integrato, libero e precario, solitario e socialmente sconfitto rispetto ai valori dominanti, è l'alter ego, ma non è l'anti-eroe con cui è facile identificarsi.
Marcello, l'intellettuale non integrato, libero e precario, solitario e socialmente sconfitto rispetto ai valori dominanti, è l'alter ego, ma non è l'anti-eroe con cui è facile identificarsi.
Luciano Bianciardi. L’integrazione. Bompiani.
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