22 febbraio 2014

"Sabato" di Ian McEwan




di Caterina Donatelli

Finito di leggerlo, attendevo uno spunto per recensirlo, cercavo una suggestione, un solco dove inserire un pensiero. Intendiamoci, il romanzo è inevitabilmente scritto bene; McEwan è un rovistatore ordinato e zelante dell’uso della scrittura e incasella tutto con una precisione che in qualche caso, diventa quasi asfittica. E’ un elaboratore lucido della consistenza umana con tutte le sue intime declinazioni e in questo romanzo, le espone servendosi della voce di un neurochirurgo, della sua famiglia e sullo sfondo, di una città: Londra.  

Un giorno, un giorno solo per raccontare la vita di  Henry Perowne, attraverso avvenimenti che portano in scena le scelte, i dubbi interiori, la fragilità e i malori della società con i continui cambiamenti che modificano il microcosmo di ogni individuo. 

Sfilano così sotto agli occhi, riflessioni sulla guerra, sulla politica, sul consumismo, sul rapporto con i media: “Fa parte dei tempi, questo imperativo a sentire come vanno le cose del mondo, a unirsi alla totalità del pubblico, a una comunità fondata sull’ansia. L’abitudine è andata aumentando in questi ultimi due anni (il romanzo si colloca temporalmente due anni dopo l’Undici Settembre); certe scene mostruose e spettacolari hanno conferito un valore di portata diversa all’informazione. La possibilità che si ripetano è come un filo che tiene legati i giorni”.

Sull’amore fedele e corposo per la moglie, avvocato e punto di riferimento della sua vita; sulla musica, con un figlio chitarrista blues e naturalmente, sulla letteratura: la figlia sta per pubblicare la prima raccolta di componimenti poetici, passione ereditata da nonno, suo suocero e poeta affermato che vive in ritiro in Francia. In mezzo una partita a squasch, dopo una settimana nel reparto di neurochirurgia di un ospedale londinese dove lavora, la visita alla madre Lily, ricoverata in una clinica con la memoria frantumata, una cena familiare da preparare.

Tornano tutti i temi cari a McEwan, con l’aggiunta di una clinicizzazione dei comportamenti attraverso la visione, raziocinante e medica del protagonista che elabora continuamente le azioni in funzione della complessità del cervello e torna l’incidente, che rompe la pianificazione del quotidiano invertendone le certezze. L’imprevisto che diventa pretesto per rovesciare l’inquadratura di un’esistenza quasi perfetta è un meccanismo che lo scrittore usa spesso nei suoi romanzi, per introdurre nella narrazione un punto di rottura, indispensabile per condurci nel lato oscuro e lì si conficca come un ago, che smuove e accede a quello che c’è sotto, oltre. 

Se in “Espiazione” la lettura è stata faticosa, qui in qualche maniera, lo è ancora di più nell’ossessiva dilatazione del tempo, nella scansione di ogni pensiero, ogni azione che si dipana nello svolgimento di un sabato di programmato riposo; mentre tu apri e chiudi il libro nei giorni, il romanzo resta quasi paralizzato su una filigrana eccessiva, seppur a volte veri spiragli di ricchezza della trama per il lettore, ed anche qui, la spinta dello scrittore è stata necessaria per arrivare in fondo.

Alla fine resta il dubbio, come spesso accade quando leggo un testo tradotto; quanto ho perso oppure, quanto si è aggiunto alla mia lettura rispetto all’originale e quanto, la traduttrice Susanna Basso, ha lavorato sulla stesura riscrivendo, in buona sostanza, il libro.

La traduzione è un tema che mi appassiona; un autore come Ian McEwan certamente misura ogni parola, ogni suono di un vocabolo per renderlo così come desidera e l’inglese ha suoni e tinte differenti dall’italiano. Quanto di quei suoni, di quei colori, vengono persi in una traduzione?


Ian McEwan. Sabato. traduzione di Susanna Basso. Einaudi, 2005





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