12.30. Sulla strada.
Luce d’un cielo
tra celeste e
azzurro
con nuvolette
chiare
Luce che dà calore
verso un futuro
un futuro
inquietante
Allora?
Che tuttavia ci
allarghi
Mi appare nella
strettoia
veloce della strada
veloce della strada
bello e fugace
oltre ogni tempo
oltre ogni
possibile misura
Ore 13. Cardoso (394 m., abit. 353).
Il paese è
raccolto e compatto nella struttura medievale e sale su scalini tra vicoli
lastricati in porfido, vasi di fiori e portali in pietra... Non un paese idilliaco
come certi villaggi della Francia o del
Trentino molto curati, anzi, a volte, fin troppo. Ci sono case abbandonate, altre trascurate,
male intonacate, muri consunti o scialbi. Ma questi sono segni d’una storia,
d’una civiltà agro-pastorale che un po’ conosco, povera e autentica, che tuttavia
si mescola con il tempo e con i tempi nostri.
E comunque salendo
fino alla chiesa, il vicolo si fa più stretto e tortuoso. Ecco un palazzo con il
bel loggiato diviso da due arcate, ecco il panorama grande con la vallata del
Serchio e sullo sfondo la catena degli Appennini; ecco il fianco della chiesa
che ci porta nella piazza.
La chiesa di S.
Ginese del XIII secolo, rimaneggiata in epoca barocca, ha una facciata semplice
con tettoia e porta nuova. Più in alto la torre campanaria, grande e merlata, antica
torre di guardia sull’intera vallata, ha l’accesso precluso.
Nella piazza il
monumento ai caduti; mi colpisce una lapide dedicata a un giovane caduto in
Russia. Si vede nella foto di Elio Bianchi (qui acclusa) il terribile contrasto
tra la bellezza candida della sua giovinezza e la morte, come disperso,
nell’immensa, tragica, gelida pianura russa. Suonano beffarde le parole di motivazione”
… per il bene del prossimo”. Quale prossimo? Hitler e Mussolini?
Nel paese una
piazza con un bar. Due uomini anziani vestiti di scuro stanno entrando, parlando a voce alta, mentre una bimba esce e
se ne va saltando alternativamente sui due
piedi, come se fosse felice.
Dal terrazzino di una casa sbucano tre cani abbaiando e correndo su e giù lungo la ringhiera. Due di questi si annoiano ben presto; uno, invece, abbaia così visceralmente mostrandomi denti affilati e occhi cattivi, che mi viene da pensare “devi essere tanto disperato… disperato di star così rinchiuso”. Lo guardo negli occhi, prima di puntargli contro l’obbiettivo fotografico e per qualche secondo anche lui mi guarda e tace. Capisco: abbaia non contro di me, io sono un simbolo. Abbaia contro la sua illibertà, contro i suoi spazi delimitati e angusti. E per associazione penso a questa Italia e a tanti tragici italiani.
Dal terrazzino di una casa sbucano tre cani abbaiando e correndo su e giù lungo la ringhiera. Due di questi si annoiano ben presto; uno, invece, abbaia così visceralmente mostrandomi denti affilati e occhi cattivi, che mi viene da pensare “devi essere tanto disperato… disperato di star così rinchiuso”. Lo guardo negli occhi, prima di puntargli contro l’obbiettivo fotografico e per qualche secondo anche lui mi guarda e tace. Capisco: abbaia non contro di me, io sono un simbolo. Abbaia contro la sua illibertà, contro i suoi spazi delimitati e angusti. E per associazione penso a questa Italia e a tanti tragici italiani.
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