di Luciano Luciani
Una
coppia di sovrani maledetti. E anche religiosi storditi, nobildonne confuse e
insaziabili nelle loro voglie, ministri incapaci, politici inadeguati,
giornalisti prezzolati... E i più esclusivi salotti di San Pietroburgo nel
momento più tragico di un impero, quello zarista, mentre un pellegrino,
lussurioso e astuto, emerge dalla più profonda provincia siberiana e muove alla
conquista di un pezzo di paradiso. Si chiama Grigorij Efimovič Rasputin ed è
destinato a esercitare un potere straordinario, al limite del plagio, sulla
coppia più ricca, illustre e importante del mondo di un secolo fa, lo zar
Nicola II e sua moglie, la zarina Alessandra.
Quale lo strano maleficio esercitato alla corte dello zar e nell’impero dal “monaco errante” giunto dalla Russia remota? Di quali protezioni gode? Quali alleanze lo sostengono? Quale il suo ruolo nella catastrofe che, pochi mesi dopo la sua morte, travolgerà i Romanov?
Problemi ancora non del tutto messi a fuoco, fitti di zone d’ombra, sostanziati di dati, magari abbondanti, ma contraddittori, di fonti d’informazione tanto copiose quanto incoerenti. Accostarsi a Rasputin oggi, a cento anni dalla sua tragica fine, significa avvicinare una leggenda nera. Raccontarlo significa narrare insieme un'epica straordinaria e mettere a nudo il cuore occulto di oltre un secolo e mezzo di storia della Russia, lo sterminato Paese tra Europa e Asia retto da un imperatore forte di un dominio illimitato. “Il Signore ci ha dato il potere imperiale sul nostro popolo”, afferma lo zar Nicola II ai suoi ufficiali nei primi giorni del gennaio 1900 per festeggiare l'inizio del nuovo secolo XIX “e solo davanti a Lui noi risponderemo dei destini della potenza russa”. L'autocrazia russa viveva, dunque, apparentemente ignara, su un vulcano in ebollizione e sul punto di esplodere anche se agli occhi dei circoli dominanti e all'opinione pubblica internazionale mai, come in questa occasione, la dinastia dei Romanov aveva offerto un'immagine di sé così solida e intangibile.
Ma si trattava, come confermano gli storici, anche i più benevoli, di un gigante dai piedi d'argilla.
Masse
rozze, superstiziose e ignoranti crescevano sia nelle campagne sia negli
agglomerati proletari delle città, segnate da una secolare indifferenza e
immaturità politica mentre una ristretta minoranza di fortunati godeva dei
vantaggi del regime: privilegi fiscali, posizioni di rendita in campo agricolo e
industriale, alti incarichi nell'amministrazione statale, nel sistema
d'istruzione o nella burocrazia dell'esercito.
Ne erano consapevoli solo alcuni spiriti più avvertiti e lungimiranti
che riscontravano con preoccupazione come tra le ristretta classe dominante e
la collera popolare si frapponessero ormai solo “le prigioni e le baionette”.
Ma per la gretta minoranza che deteneva il potere l'ordine sarebbe tornato a
regnare, però, solo se fosse stato restaurata, e in tutta la sua pienezza,
l'autocrazia: quella forma di governo nella quale il potere è riservato a un unico soggetto, indipendente
tanto dai governati, quanti dagli altri soggetti governanti, il solo e l'unico
a poter garantire diritti e benessere a tutti.
Pieno di buone intenzioni, sinceramente preoccupato per i malesseri
sociali che agitano i suoi sudditi, il regime zarista, però, sembra capace solo
di fornire risposte che guardano all'indietro, alla tradizione di un
potere tirannico e paternalista che intende
governare su un Paese arretrato e rurale. Ed è su questo scenario - un
tempo che muore e uno nuovo che non
riesce a nascere - che va inserita la straordinaria avventura di Grigorij
Rasputin. Figlio di poveri contadini siberiani, illetterato e quasi analfabeta,
grazie alla sua fama di taumaturgo, riesce a entrare a corte e a intervenire
con autorevolezza negli affari di Stato. Il suo formidabile ascendente sulla
famiglia imperiale si esercita in modo particolare sulla zarina Alessandra e si
fonda sul suo potere, vero o presunto, di curare Alessio, il figlio della
coppia imperiale e successore al trono, affetto da emofilia. Un ciarlatano o un
uomo dotato davvero di poteri fuori dal comune? Un impostore o un veggente che
riusciva a vedere più lontano dei suoi contemporanei? Un ciurmatore o un santo?
Di sicuro, lui e la sua vicenda rappresentano bene la crisi di un'epoca:
sospesa tra una tradizione intrisa di superstiziosa religiosità e una modernità
ancora più feroce, violenta e spietata del vecchio mondo.
Una vicenda oscura, densa di elementi indecifrabili, enigmatici, arcani ben raccontata da Marco Natalizi, preparato studioso della cultura e della storia russe. Con rigore di storico e pregevoli qualità affabulatorie, l'Autore ci racconta una storia sempre "al limite" tra politica e religione, tra pace e guerra, tra santità e abiezione.
Accaduta
e conclusasi tragicamente cento anni fa, ma, lascia intendere Natalizi, ancora
palpitante, vicina e attuale ai nostri giorni assai più di quanto possa
apparire a un osservatore smemorato e distratto.
Marco Natalizi, Il
burattinaio dell'ultimo zar: Grigorij Rasputin, collana Aculei, Salerno
editore, Roma 2016, pp. 220, Euro 13,00
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